martedì 22 settembre 2009

Sulla strage di Kabul, fuori di retorica

di Paolo Farinella prete - dal sito www.dongiorgio.it

Proemio
Genova sabato 19 settembre 2009. Oggi è giorno di lutto per la democrazia: la manifestazione per la libertà di stampa è stata rinviata per non turbare la sceneggiata del cordoglio nazionale per la morte dei sei militari italiani uccisi insieme a 20 innocenti afghani. Il governo e il suo impresentabile presidente vi sta inzuppando il biscotto a piene mani perché rallenta la pressione dell’opinione pubblica e distrae dalla drammatica situazione in cui versiamo.
Per il secondo giorno consecutivo ho conati di rigetto di fronte alla millanteria nazionale-diaticopoliticop
atriottarda di esaltazione di sei poveri sventurati che sono andati a morire inutilmente per rimediare un disgraziato lavoro negato da quel governo che li ha usati come carne da macello per la gloria del capo svergognato che ora li usa come “eroi” per tacitare un dissenso che si allarga sempre più.
Ieri, esasperato da tanta improntitudine e falsità ho spedito a MicroMega il seguente pensiero che ora spedisco a voi. I toni e i contenuti sono volutamente contenuti per rispetto a tutti i morti e perché in questa retorica senza senso trovo un atteggiamento diabolico e disumano.
La guerra non crea eroi, ma solo vittime e se qualche eroe è necessario, bisogna scegliere i 20 afghani “innocenti” che erano lì per caso e sono stati falcidiati, mentre i soldati italiani era lì armati per fare “il loro dovere”, cioè occupare un Paese straniero che essi hanno consegnato nelle mani di un dittatore corrotto come Karzai.
Se sono eroi questi figli della fame e dell’ignominia, cosa devono essere le migliaia di persone innocenti bombardate senza discriminazione di sesso, di età, di colpa o di ragione? Chi piange questi morti inutili è complice della guerra ed è nemico della democrazia.
Il governo ha stabilito il lutto nazionale per lunedì e un minuto di silenzio: io non farò lutto e non faro silenzio perché rifiuto questa mistificazione nazionale. La moglie di uno dei morti ha detto di essere orgogliosa del lavoro di suo marito: ebbene, sono parole sue, non mie. Sia dunque orgogliosa anche della sua morte e domani, se ha figli, lo racconti loro e dica chi erano i “nemici” che hanno ucciso il padre e spieghi loro chi lo ha mandato e per quale motivo. Aggiunga che la presenza del padre armato ha contribuito ad estendere il potere dei talebani e di quelli che essi chiamano “terroristi”.
Quale democrazia hanno difeso questi soldati, quella del corrotto Karzai o quella del corruttore e corrotto Berlusconi? In questi giorni di lutto nazionale, sospendo moralmente la mia appartenenza all’Italia e mi tiro fuori da ogni complicità da queste nefandezze, travestite da eroismo. Forse le mie parole che precedono e quelle che seguono susciteranno stupore e scandalo in qualcuno: ebbene, passi oltre e non se la prenda: sono infatti certo di essere nel giusto, in buona coscienza.
Di seguito il pensiero pubblicato su MicroMega il 18 settembre 2009.
Paolo Farinella, prete

da Micromega
La strage di Kabul
e la strage della libertà di stampa

di Paolo Farinella, prete

I titoli di quasi tutti i giornali, dei tg e dei commentatori sono unanimi: «Strage di Italiani in Afghanistan: 6 militari uccisi». Ecco il modo ideologico di leggere e dare false notizie per vere. La «strage» riguarda 20 afghani e 6 militari, tutti uccisi nello stesso istante e con le stesse modalità; poi vi sono oltre 60 feriti afghani e 4 militari italiani. I feriti italiani sono stati rimpatriati per le cure necessarie, gli afghani sono rimasti per strada e se non interviene Emergency restano lì ad aumentare il numero dei morti afghani.

A costo di apparire cinico (e non lo sono) non riesco a piangere questi morti «italiani», isolati dal loro contesto reale. Mi dispiace e sono addolorato che qualcuno debba morire così e per le loro famiglie che adesso avranno un vuoto esistenziale e affettivo che nessuno potrà riempire: non le parole d’ordinanza della retorica politica che subito ne ha fatto degli «eroi» in appoggio ad una politica miope, demenziale e incivile che pretendeva di esportare la democrazia con le armi e assicurare la sicurezza seminando morte tra la popolazione inerme afghana. Morti inutili, morti senza senso.

No! Non ci sto! I soldati morti sapevano che potevano morire (fa parte del loro mestiere), ma sono andati ugualmente per scelta e per interesse economico, cioè per guadagnare di più. So anche che molti vanno per il brivido della guerra, per dirla alla popolana per menare le mani e sperimentare armi nuove e di precisione. Dov’è l’eroismo nell’uccidere sistematicamente, per sbaglio o per fuoco amico, civili che a loro volta sono vittime nel loro paese e vittime degli occupanti stranieri?

Dopo 8 lunghi anni di guerra, quali risultati ha portato la peacekeeping o la peacemaking? Se si chiama «peace» lo sterminato stuolo di mutilati, di affamati, di morti, come si deve chiamare la «guerra» o per dirla alla moderna la «war»? Prima che arrivassero Bush e i suoi valvassini in Afghanistan i talebani erano considerati «occupanti»; ora dopo 8 anni di occupazione occidentale, il popolo tifa per i talebani e potenzia le divisioni tribali che hanno portato ad un aumento di potere dei «signori locali della guerra » che hanno imposto la loro legge, aumentato la coltivazione del papavero e diffuso capillarmente la corruzione.

Dopo 8 anni di «peace-keeping» l’Afghanistan si trova con un presidente fantoccio, Karzai, corrotto e corruttore, che sta lì perché ha imbrogliato almeno un milione e mezzo di schede elettorali, che per vincere e avere i voti dei capi tribù ha introdotto nel diritto «democratico», difeso dalle armi occidentali, il diritto del marito di stuprare, violentare, picchiare e anche uccidere la moglie e le donne in sua proprietà. E’ questo l’obiettivo per cui sono morti i militari italiani, inglesi, spagnoli, tedeschi, e americani? Ne valeva la pena!

Sono morti inutili, morti che dovrebbero suscitare vergogna in chi li ha mandati e lì li ha tenuti e anche in coloro che vi sono andati per scelta libera e volontaria per avere uno stipendio proporzionato. No! Non sono eroi, sono vittime come sono vittime i morti afghani, come sono vittime i talebani usati dall’occidente quando venivano comodo contro i Russi e da questi, a loro volta, armati quando servivano alla bisogna; mentre ora i beniamini di ieri sono i nemici di tutti.

I funerali si Stato di questi sventurati morti per nulla o per la vanagloria dei loro fantocci governanti, come i 19 morti di Nassiriya, sono a mio avviso l’appariscenza di una retorica vuota e colpevole perché incapace di fare politica e politica di pace. Il potere assatanato si serve ha bisogno di carne da macello che poi copre con gli onori di Sato: tanto pagano sempre i cittadini «sovrani» che non contano nulla.

La strage di Kabul, in Italia, ha interrotto «la democrazia», facendo spostare la manifestazione a favore della libertà di stampa di sabato 19 settembre 2009 ad altra data. E’ il segno della mistificazione. Queste morti sono funzionali al governo che così raffredda la piazza, allontana un colpo di maglio sferrato dalla società e il presidente del consiglio, l’amico di Bush e Putin, riprende la scena, mostrandosi affitto e piangente ai funerali «dei nostri ragazzi», espressione orrenda che nega la verità dei fatti e conferma le ragioni che vi stanno dietro: questi «ragazzi» sono i militari di carriera che sono andati da sé in un Paese in guerra e sono andati armati. Non sono «ragazzi», sono consapevoli e responsabili delle loro scelte e delle loro morti.

Spero che i figli e le famiglie non me ne abbiano perché il modo migliore per onorare i morti è continuare a garantire i diritti di tutti, non solo quelli di qualcuno, creando le condizioni perché questi diritti possono essere esercitati. Un pilastro della democrazia è la libertà di stampa e la libertà totale di criticare il governo. La «strage» di Kabul ha colpito in Italia, a 4.000 km di distanza, uccidendo insieme agli innocenti Afghani e ai soldati italiani, quella democrazia che solo un pazzo poteva è pensare esportare. In compenso si è saputo uccidere la democrazia italiana: chi ha deciso di spostare la manifestazione del 19 settembre è diventato complice della strage di Kabul, estendendola fino a noi. Ora la guerra è totale.

Poveri morti, diventati la foglia di fico di un potere inverecondo che si nutre solo di rappresentazione vacua e vuota, effimera e assassina. No! non faccio parte del coro.

(18 settembre 2009)

giovedì 2 luglio 2009

Alcune considerazioni sul voto in Emilia-Romagna

di Agostino Giordano – Segreteria Prc Emilia-Romagna

Testata/Fonte: www.comunistinmovimento.it

Per poter elaborare alcune considerazioni sugli esiti delle recenti elezioni Europee e amministrative nei territori emiliano – romagnoli, occorre necessariamente guardare prima qualche dato di carattere generale. La Lista Comunista e anticapitalista (Prc – PdCi – Socialismo 2000) ottiene complessivamente, alle europee, il 3,4% dei consensi elettorali. La nostra lista consegue il risultato più basso e peggiore in assoluto proprio nella circoscrizione Nord-orientale (che, oltre all’Emilia Romagna, comprende anche Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia) con appena il 2,3% dei consensi – pari a 148.670 voti. Per quanto riguarda le altre circoscrizioni il dato è sensibilmente diverso: nord-ovest 3%; centro 4,5%; sud 4,1%; isole 2,8%. *

In tutta la regione Emilia Romagna i voti ottenuti sono 77.364, pari al 3,1%, una percentuale che certamente alza il livello di consensi complessivo ottenuto nell’intera circoscrizione (a fronte dell’1,2% del Trentino Alto Adige, dell’1,8% del Veneto e del 2,5% del Friuli Venezia Giulia).

Per quanto riguarda le diverse province della regione, il dato concernente il voto per le europee alla lista comunista sembra abbastanza omogeneo, tranne che per le province di Rimini e Bologna in cui si scende sotto il 3% (Piacenza: 3,17%. Parma: 3,46%. Reggio Emilia: 3,42%. Modena: 3,06%. Bologna: 2,74.%. Ferrara: 3,21%. Ravenna: 3,36%. Forlì-Cesena: 3,23%. Rimini:2,87%)

Anche se il dato dell’Emilia Romagna è superiore rispetto alle altre regioni del Nord-Est, ciò non deve trarre in inganno rispetto ad una quasi totale omogeneità concernente i territori di questa circoscrizione, organici ormai al modello settentrionale delle piccole e medie imprese, il terreno più fertile per l’imponente e spavalda avanzata della Lega Nord.

L’eccessivo risultato ottenuto dalla Lega Nord alle elezioni europee in Emilia Romagna si traduce più o meno ugualmente e sistematicamente nelle amministrative, dove in molti comuni e province della regione, nel cuore delle cosiddette ex-roccaforti rosse (insediamenti storici del Pci e delle sinistre), i vessilli verdi “padani” hanno sventolato trionfanti proprio a discapito delle forze comuniste e della sinistra (fra cui il Prc).

Infatti, complessivamente, in Emilia-Romagna nelle elezioni comunali e provinciali, più o meno in sintonia con la media dei risultati ottenuti nel resto delle regioni italiane, il Prc e il PdCi subiscono vertiginosi arretramenti, manifestando in alcune zone ottime capacità di resistenza conquistando risultati dignitosi che, seppure inferiori alle precedenti amministrative, bisogna considerarli assolutamente positivi, soprattutto se inseriti nel contesto generale della disfatta della sinistra d’alternativa (le cui cause sono ormai abbastanza note e non le ripeto in questa sede). Poiché questi risultati positivi, in una fase difficile come quella che stiamo attraversando, devono essere illuminanti segnali di incoraggiamento, è bene citarli subito. Alle provinciali di Ferrara (dove la Lega conquista il 10,18%) infatti la lista Prc-Pdci - in coalizione nel centro-sinistra - ottiene il 4,41% (9.128 voti), eleggendo un consigliere. Alle provinciali del 2004 a Ferrara il Prc ottenne il 4,82% (10.232 voti) e il Pdci 3,68% (7.807 voti): se si sommano queste due cifre la somma è di 18.039 voti che, confrontati ai 9.128 attuali, denunciano un perdita di 8.911 voti. Un’emorragia tutto sommato “contenuta” se confrontata con i dati degli altri capoluoghi di provincia emiliano-romagnoli. Sempre per quanto riguarda le provinciali di Ferrara spicca evidentemente il risultato ottenuto nel collegio “Comacchio I”, dove la lista Prc-Pdci raggiunge addirittura il 14,29% e in diversi altri collegi supera il 5%. Dal fronte estense arriva anche un altro dato incoraggiante che riguarda il comune capoluogo: infatti nelle elezioni comunali, nelle quali la Lega arriva “appena” al 6,42%, la lista Prc-Pdci, in alternativa al centro-sinistra, ottiene il 3,90% (3.163 voti) eleggendo in consiglio comunale la candidata a sindaco Irene Bregola (se confrontiamo questo dato con le precedenti comunali del giugno 2004 i voti sono pressoché dimezzati poiché il Prc aveva da solo il 4,70% con 3.901 voti e il Pdci il 4,15% con 3.446 voti).

L’altro dato in controtendenza positiva è senza dubbio quello ottenuto dalla Lista Prc-Pdci (in coalizione nel centro – sinistra) alle provinciali di Bologna (nelle quali la Lega arriva all’8,16%), dove si raggiunge il 3,60% (19.687 voti) e si elegge un consigliere. Qui l’emorragia di consensi però è altissima (anche considerando che c’erano due liste direttamente concorrenti quali il Pcl e la lista civica “Terre Libere” che ha candidato alla carica di presidente della Provincia l’ex-segretario del Prc Tiziano Loreti), in quanto alle precedenti provinciali del giugno 2004 la somma dei voti del Prc (con il 5,73%) e del Pdci (con il 2,78%) era pari a 49.372: se a questa cifra sottraiamo gli attuali 19.687 voti, la perdita di consensi è pari a 29.685 voti. Anche in questo caso ci sono stati dei collegi in cui si sono raggiunti dati abbastanza alti, come ad esempio il 6,81% di Castiglione dei Pepoli oppure il 4,60% di Minerbio. I numeri delle provinciali bolognesi sono decisamente migliori rispetto ai dati delle comunali del capoluogo regionale (dove la Lega raggiunge fortunatamente appena il 3,14%). Infatti qui la lista Prc-Pdci (in coalizione nel centro-sinistra) ottiene l’1,82% dei consensi (3.902 voti) e, nonostante, ciò elegge un consigliere comunale. Il confronto con le precedenti elezioni comunali del giugno 2004 risulta tutto sommato prevedibile e l’emorragia abbastanza contenuta, in quanto la somma dei voti di Prc (al 4,63%) e del Pdci (all’1,70%) era pari a 13.981. Di conseguenza la perdita è di 10.072 voti, gran parte dei quali sono evidentemente andati alle diverse liste concorrenti della sinistra antagonista e di alternativa (non presenti alle scorse votazioni): Lista civica di Donne - Altra Città (con candidata sindaco un’ex-assessora del Prc, che ha ottenuto soltanto lo 0.46%), Bologna Città Libera (con candidato sindaco un ex-consigliere comunale indipendente del Prc, che è arrivata appena all’1,66%, un risultato molto inferiore rispetto alle aspettative), Partito Comunista dei Lavoratori (con candidato sindaco un ex dirigente nazionale del Prc, che si attesta allo 0,39%), Lista Civica Pasquino (con candidato sindaco il politologo Gianfranco Pasquino, che raggiunge l’1,77%). A queste va aggiunta anche la lista di Beppe Grillo che, ottenendo il 3,01% (eleggendo un consigliere) ha certamente attinto anche nell’elettorato storico di Rifondazione e del Pdci.

In alcuni comuni della provincia di Bologna ha indubbiamente pagato la scelta di presentarsi in alternativa al Pd: infatti a Medicina la lista Prci-Pdci elegge un consigliere (candidato a sindaco) con l’8,05%. A Marzabotto, all’interno di una lista civica alternativa al Pd, il Prc ottiene un ottimo risultato eleggendo due consiglieri. In altri comuni invece la scelta di presentarsi in coalizione con il centro – sinistra ci ha danneggiato favorendo altre liste concorrenti a sinistra e alternative al Pd: ad esempio a Bentivoglio (dove la lista di fuoriusciti dal Prc ottiene l’11,44%), San Pietro in Casale (dove il Pcl ottiene il 4,66%, una lista alternativa di sinistra il 4,30% e Prc-Pdci in lista con il Pd non eleggono nulla) e Ozzano (dove il Pcl elegge un consigliere con il 5,37% e Prc-Pdci non eleggono nulla).

Tornando al resto della regione e considerando soltanto le elezioni provinciali e quelle comunali dei capoluoghi di provincia possiamo osservare che i risultati sono ancora più negativi delle cifre sinora prese in considerazione, in quanto eleggiamo pochissimi consiglieri e le percentuali si abbassano ulteriormente soprattutto a causa del fatto che le liste Prc – Pdci nella maggior parte dei casi si sono presentate divise (alcune volte posizionandosi in maniera diversa o in coalizione con il Pd o alternativi a esso) e anche, soprattutto per quanto riguarda i territori emiliani (meno per quanto concerne quelli romagnoli), a causa del pesante sfondamento della Lega Nord.

Nella provincia di Piacenza, infatti, dove la Lega raggiunge il 17,23% dei consensi, il Prc ottiene il 2,73% (dimezzando grossomodo i voti rispetto alle precedenti elezioni in cui aveva ottenuto il 7,09%) e il Pdci conquista l’1,75 % (perdendo pochi voti rispetto alle precedenti provinciali, poiché aveva il 2,12%). Entrambi i partiti si sono presentati in coalizione con il centro – sinistra ed entrambi non eleggono nessuno.

Nella provincia di Parma, dove la Lega raggiunge il 14,64%, il Prc – in alternativa al centro-sinistra - ottiene il 2,18% (calando vertiginosamente rispetto all’8,80% delle precedenti elezioni), mentre il Pdci (in coalizione nel centro-sinistra) conquista il 2,54% (perdendo circa un punto percentuale rispetto alle precedenti provinciali, in quanto era al 3,24%). Entrambi i partiti non eleggono consiglieri.

Nella provincia di Reggio Emilia, dove la lega raggiunge il 15,04%, bisogna segnalare il risultato positivo del Prc che, presentandosi in alternativa al centro-sinistra, ottiene il 3,24% (dimezzando quasi i voti rispetto alle precedenti elezioni in cui aveva il 6,67%) eleggendo in consiglio provinciale il candidato presidente. Il Pdci, che correva in coalizione nel centro-sinistra, ottiene l’1,76% (nel giugno 2004 aveva il 2,77%), non eleggendo nessuno. Decisamente peggiori i dati delle comunali di Reggio Emilia, in quanto il Prc – sempre da solo e in alternativa al centro-sinistra – ottiene l’1,75 (alle precedenti elezioni aveva il 4,40%), mentre il Pdci in coalizione con il centro-sinistra conquista l’1,46% (a fronte del 6,99% che aveva la scorsa volta). Entrambi i partiti non eleggono alcun consigliere.

Alle provinciali di Modena, dove la lega prende il 14,58%, il Prc, in alternativa al centro-sinistra, ottiene il 2,43% (nel 2004 aveva il 5,74%), mentre il Pdci (in coalizione nel centro-sinistra) arretra di poco rispetto al 2004 (aveva il 2,77%) conquistando il 2,02%. A Modena, per quanto riguarda invece le comunali (dove la Lega prende l’11,01%), il Prc – sempre in alternativa al centro-sinistra – ottiene l’1,97% (precipitando dal 5,02% del 2004), mentre il Pdci – in coalizione nel centro-sinistra – raggiunge l’1,18% (perdendo pochi voti rispetto alla volta scorsa, poiché aveva l’1,39%). In questo caso le forze comuniste non eleggono alcun consigliere sia in provincia che in comune.

Altro dato positivo è quello delle provinciali di Forlì-Cesena (con la Lega all’11,15%), dove il Prc, presentatosi in coalizione con il centro-sinistra, elegge un consigliere con il 3,01% (nel 2004 aveva il 6,81%), mentre il Pdci, allo stesso modo in coalizione, ottiene l’1,16% (nel 2004 avevano il 2,64%). Al comune di Forlì (dove la Lega arriva al 9,40%) invece il dato peggiora notevolmente, in quanto il Prc in coalizione nel centro-sinistra ottiene l’1,59% (riducendo drasticamente rispetto al precedente 4,13% e non eleggendo nessuno) mentre il Pdci – in alternativa al centro-sinistra – arretra di poco con l’1,43% ( a fronte del precedente 1,97%), non eleggendo nessuno allo stesso modo.

Per quanto riguarda infine la provincia di Rimini (dove la Lega arriva al 9,09%), il Prc ottiene il 2,61% (nel 2004 aveva il 6,91%) mentre il Pdci arretra all’1,83% rispetto al precedente 3,19%. Entrambi i partiti non eleggono consiglieri.

La maggior parte degli esiti delle provinciali e delle comunali dimostra tendenzialmente che l’aver unito il Prc e il Pdci in un'unica lista ha consentito di giungere a risultati dignitosi e, in diversi casi, ha permesso di eleggere rappresentanti istituzionali.

Alla luce di questi dati, possiamo confermare che il risultato complessivamente negativo ottenuto dalle forze comuniste in Emilia-Romagna è legato principalmente all’arretramento generale e sistematico delle forze della sinistra (Pd compreso), a vantaggio principalmente della Lega Nord. Ciò deve indurre quindi i dirigenti e i militanti che si riconoscono nella lista comunista e anticapitalista a realizzare profonde riflessioni e analisi adeguate sui mutamenti socio – economici avvenuti nella regione Emilia-Romagna, che non può più essere considerata un territorio privilegiato in cui la rendita delle buone amministrazioni rosse del passato possa garantire anche per il presente e per il futuro.

In conclusione, un’altra considerazione che si può fare riguarda il deficit di radicamento sociale delle forze comuniste, vero fattore di crisi che ci spinge sempre più lontano dalle cittadine, dai cittadini, dai lavoratori, dai precari, dai migranti e rispetto alle classi sociali deboli che vorremmo rappresentare. La mancanza di autorevolezza dei gruppi dirigenti locali, la scarsa credibilità conquistata fra le soggettività colpite duramente dalla crisi, la nostra assenza dai luoghi del conflitto, l’incapacità di essere protagonisti di qualche battaglia sociale significativa, rappresentano sicuramente le cause principali del nostro arretramento regionale, che possono essere in gran parte trasferite a livello nazionale e soprattutto nei territori del Nord-Est rispetto ai quali l’Emilia-Romagna si è pressoché omologata.

L’ultima considerazione riguarda il rapporto con il Pd: allearsi o meno con il Pd a livello locale, entrare o meno in una coalizione di centro sinistra conta poco ai fini del risultato elettorale. Conta soprattutto se si è in una condizione favorevole di radicamento e di legittimazione territoriale forte. Senza dubbio aiuta presentarsi alternativi al Pd quando questo ha gestito malamente le amministrazioni locali e si è mostrato distante dai ceti deboli colpiti dalla crisi. In quei casi la collaborazione delle forze comuniste deve cessare immediatamente. Discorso diverso per quanto concerne le buone amministrazioni, dove la riconferma della nostra presenza al fianco del Pd è stata premiata dai cittadini ma che deve continuare ad essere valutata caso per caso in base alle specificità locali, nell’ambito di una nostra collocazione nazionale complessiva autenticamente alternativa a questo Pd moderato e allo sbando.



* Tutti i dati riportati in questo articolo sono tratti dalle tabelle elaborate dagli uffici elettorali Prc-Pdci e dal sito del Ministero dell’Interno.

martedì 19 maggio 2009

Giovani Comunisti/e: il nostro futuro passa anche per le urne del 6 e 7 giugno

di Agostino Giordano *

Testata/Fonte: www.comunistinmovimento.it


Accolgo molto positivamente le proposte lanciate da Simone Oggionni in un articolo pubblicato il 5 maggio scorso su Liberazione, per il rilancio delle/dei Giovani Comuniste/i. In particolar modo l’elenco e l’articolazione delle tre priorità sulle quali costruire la nostra iniziativa politica nel breve periodo sono molto utili per tradurre sui territori un’azione complessiva e sistematica che veda la nostra organizzazione protagonista sul terreno della conflittualità, in modo tale da poter avviare un serio percorso di recuperare e/o conquista di credibilità e legittimità, in maniera particolare tra le giovani generazioni, in gran parte fortemente colpite dalla crisi e vittime sacrificali della precarietà e delle devastanti contraddizioni del moderno capitalismo. Ricapitolando: campagna di massa contro gli effetti della crisi spiegandone le cause, campagna elettorale, mobilitazioni contro i “vari” G8. Tra l’altro in questi giorni, l’intensificarsi delle operazioni di guerra in Afghanistan e i conseguenti massacri di donne e bambini dimostrano come – nonostante Obama – gli Stati Uniti d’America continuino a portare avanti i loro propositi di espansione imperialista; a maggior ragione, quindi, anche la lotta contro la guerra e per il ritiro dei militari italiani dalle zone del mondo in cui sono al servizio dei comandi statunitensi, sono punti irrinunciabili della nostra agenda politica, soprattutto per tentare di ridare fiato e voce a quell’eterogeneo “movimento pacifista”, che in Italia ha raggiunto notevoli dimensioni e che ha sempre visto in prima linea i Gc e il Prc. In modo particolare oggi è necessario, soprattutto per i/le giovani comunisti/e, costruire una battaglia di massa contro il razzismo dilagante, da collegare strettamente al sostegno attivo in favore delle resistenze dei popoli contro l’imperialismo.
A mio giudizio, nel brevissimo periodo, è fondamentale concentrare i nostri sforzi affinché si realizzi e si concretizzi la seconda priorità in elenco, tentando di incrociarvi il più possibile e saldamente la prima e la terza. Infatti deve essere un nostro obiettivo - come se fosse “un’irrinunciabile linea del Piave” - il superamento, da parte della nostra lista comunista e anticapitalista, di quello odioso sbarramento fissato al 4% alle imminenti elezioni europee. Come Giovani Comunisti/e dobbiamo avere bene in mente che il nostro futuro passa anche per le urne del 6-7 giugno prossimi. Ovviamente non soltanto da quelle urne. A livello simbolico, però. superare quello sbarramento, fornirebbe fiato e ossigeno necessari alla prospettiva di rilancio del nostro partito (e al processo unitario della sinistra anticapitalista) e darebbe una forte spinta anche alla ripresa della nostra organizzazione che, a mio parere, vedrebbe decisamente facilitato il duro tentativo di rimettere gambe e testa nella nostra difficile società, per acquistare finalmente legittimità e credibilità soprattutto fra le giovani generazioni. A volte i livelli simbolici contano tanto quanto quelli concreti dell’esserci nelle contraddizioni della società e del “farsi” società. Questa è una di quelle fasi in cui il livello simbolico potrebbe contare tantissimo.
Conosco la fatica, come tanti e tante di noi, che si prova nell’allestire banchetti e gazebo sulle strade e sulle piazze delle nostre città, nel volantinare o nell’attacchinare manifesti, etc… Sono sforzi che dobbiamo fare nei prossimi giorni con maggiore intensità, collettivamente, pensando al nostro futuro di giovani comunisti/e - precari, migranti, studenti, clandestini, disoccupati, lavoratori - che sognano di essere donne e uomini in grado di costruire l’altro mondo possibile secondo i canoni della libertà e della giustizia sociale, ovvero di quel moderno comunismo che è motore trainante dei nostri ideali e delle nostre azioni.
La campagna elettorale può essere riempita dalle nostre lotte e dai nostri contenuti, dalla narrazione dei conflitti che abbiamo praticato e che stiamo praticando, proprio per dare continuità a quel filo rosso che ha attraversato le strade di Genova nel 2001 e che oggi deve essere trasmesso e consegnato a chi ha urgente necessità di affidare le sorti della propria vita a una speranza, la speranza del cambiamento e della trasformazione sociale.
Questo filo rosso fortunatamente è ancora vivo e le/i Giovani Comuniste/i continuano a tenerlo in vita nonostante le sconfitte e le scissioni, malgrado lo strapotere e l’arroganza delle destre fasciste e leghiste e tra l’inconsistenza complessiva delle sinistre. Lo vediamo vivere nei campi delle brigate si solidarietà attiva in Abruzzo o nei diversi luoghi in cui sono stati raccolti gli aiuti per le popolazioni terremotate, nei presidi di vendita del pane a prezzi popolari o nelle iniziativa di lotta in difesa del popolo palestinese, della scuola e dell’Università pubblica. Sono tutti luoghi in cui i/le Giovani Comunisti/i sono stati e vi sono tuttora, spesso in silenzio, senza clamori autocelebrativi e mediatici, sempre pronti a fare i gregari e mostrando profondo spirito di sacrificio. In molti territori contribuiscono a tenere in piedi, in maniera determinante, le strutture stesse del Partito.
I prossimi giorni saranno decisivi anche per non vanificare gli sforzi e i sacrifici compiuti soprattutto in questi ultimi mesi
Può sembrare riduttivo e qualcuno storcerà il naso, ma il nostro filo rosso passerà anche attraverso la puzza della colla dei manifesti che attacchineremo e il sudore che butteremo girando e scappando da una strada all’altra, da un paese all’altro. La speranza continuerà a vivere anche per noi GC più concretamente se la lista comunista e anticapitalista supererà lo sbarramento alle elezioni europee, se le liste unitarie otterranno dignitosi risultati nei territori dove sono state presentate e se il Prc, nei territori dove si presenta da solo, riuscirà ad ottenere percentuali credibili. Compagni e compagne, rimbocchiamoci le maniche e, oggi più di ieri, al lavoro e alla lotta!

* Segreteria regionale Prc Emilia Romagna