lunedì 18 novembre 2013

Potenza 1947. Gli spari sulla folla, nella relazione del Prefetto

di Agostino Giordano 

pubblicato su www.arrotinomagazine.it il 15/11/2013

Il 1947 fu un anno particolarmente turbolento per quanto riguarda le mobilitazioni contadine e la repressione, come spesso è accaduto nel nostro Paese, fu terribile. Accaddero episodi molto gravi che, purtroppo, non fanno parte della memoria collettiva e che è bene riportare in luce, anche per rendere un giusto tributo a coloro che hanno pagato con la vita e con il sangue.
Ad esempio, per citare uno di questi episodi, a Potenza una manifestazione contadina - che si svolse in Piazza Prefettura proprio nel 1947 - venne duramente repressa.
Così raccontava al Ministro dell’Interno il tragico episodio, l’allora Prefetto del capoluogo lucano Virgilio:
Il mattino del giorno 29 aprile oltre mille contadini provenienti dalla campagna circostante e di qualche comune viciniore armati di zappe, randelli e grossi bastoni, inscenarono in questa piazza Prefettura una violenta manifestazione, chiedendo l'abolizione totale dell'ammasso, la libera macinazione del grano e la soppressione del Consorzio Agrario.
Una Commissione di dimostranti venne subito ricevuta dal Prefetto, presenti anche il segretario della Camera Confederale del Lavoro, il Segretario della Federazione, ed esponenti del Partito Comunista, Socialista e Democristiano.
Mentre si svolgeva la discussione, la folla tumultuava impaziente ed aggressiva, accentuando l'atteggiamento minaccioso coll'agitare bastoni e randelli in alto, specie quando qualcuno della Commissione si affacciava alle finestre per esortare alla calma”.
Il Prefetto prosegue poi nel suo resoconto spiegando che tutti i tentativi di portare alla calma furono vani e, per giustificare la repressione attuata dalle forze dell'ordine, enfatizza decisamente i toni.
Infatti “la folla si accalcò sempre più verso il portone della Prefettura facendo viva e violenta pressione sullo sportello di entrata che veniva tenuto fermo con notevole sforzo dagli agenti dell'ordine, ivi di servizio”.
Ad un tratto da un dimostrante, salito su di un piedistallo delle colonne site ai lati del portone, con una lunga mazza furono rotti i vetri della lunetta che caddero in frantumi sugli agenti di servizio all'interno, e, mentre altri dimostranti tentavano la scalata all'ammezzato della Prefettura, la folla ebbe ragione del supremo sforzo comune compiuto dagli agenti per tenere fermo lo sportello d'entrata, ed un primo notevole gruppo di dimostranti irruppe nell'androne armato e deciso ad ogni estrema violenza, per cui la forza pubblica fu costretta a sparare in aria per impedire che quei forsennati avessero invaso e saccheggiato tutti gli uffici che hanno sede nel Palazzo del Governo”.
La polizia sparò quindi in aria, ma, misteriosamente e senza la precisa volontà di uccidere - come tradizione italiana vuole –
tra la folla, alcuni dimostranti furono raggiunti da colpi, in lontananza. Due di essi feriti gravemente decedettero poi all'ospedale”.
Infine il Prefetto rassicurava il Ministro sul fatto che erano “in corso indagini complesse per accertare le responsabilità della illegale e criminosa manifestazione, sconfessata dai partiti e dalle organizzazioni sindacali” e che erano state arrestate otto persone*.
Il risultato finale della repressione della forza pubblica “costretta a sparare in aria” fu di due morti e diversi feriti.
I due caduti furono Antonio Bastanzio di Senise (Pz), studente liceale di 19 anni (morto lo stesso giorno 29, a poche ore dagli incidenti) e Pietro Rosa di Tito (Pz), padre di due figli (ferito mortalmente all’addome, morì il giorno seguente, 30 aprile, all’ospedale San Carlo di Potenza**.
Due morti che la memoria collettiva, in particolare lucana, a prescindere dalle dinamiche che hanno generato questo tragico episodio e che successivamente proveremo ad analizzare in questa sede (valutando anche la situazione politica contestuale) potrebbe considerare come martiri che hanno sacrificato la loro giovane esistenza sull'altare del progresso civile e sociale del nostro Mezzogiorno e del nostro Paese.
 
*ASP, Prefettura – Atti di Gabinetto (1940 – 1956 ca.), 2° vers. / 2° el., cat. XII,busta 67: Relazioni mensili (1947-1950, Relazione mensile del Prefetto di Potenza scritta al Ministro dell'Interno il 6 maggio 1947 e riferita al mese di aprile. 

**Cfr. Azione Proletaria – Organo della Federazione Comunista, Anno IV, Numero Straordinario di Domenica 4 maggio 1947, in ASP, Prefettura – Inventario Atti di Gabinetto (1926 – 1956 ca.) 2° vers. / 2° el.,  Cat. XII B, busta 86,  fasc. 86: Esemplari d'obbligo.

L’altra Basilicata c’è già. Intervista a Maria Murante #lasceltagiusta


pubblicata su www.esseblog.it il 14/11/2013

Intervista a MARIA MURANTE, candidata della lista “Basilicata 2.0 – #lasceltagiusta”  per la carica di Presidente alle prossime elezioni regionali lucane (si vota il 17 e 18 novembre).

Vista dall’esterno, la competizione elettorale lucana risulta essere interessante, poiché, c’è una proposta politica , appunto “Basilicata 2.0 – #lasceltagiusta”, che è una proposta politica completamente alternativa al Partito Democratico e mette insieme un fronte abbastanza ampio di sinistra (Sel, Prc, associazioni, comitati, movimenti, etc..). A prescindere dalla specificità locale, quanto è importante, per te, che nel nostro Paese ci sia una sinistra alternativa, autonoma e indipendente?
In Basilicata, con un Pd che si è consolidato come “partito-regione”, e in cui si è accentrato quasi tutto il potere, nell’ambito di una coalizione di centro-sinistra in cui la sinistra ha subito una vera e propria conventio ad excludendum, ritengo che la nostra sia stata una scelta di autonomia e di autodeterminazione importante. Così come importante è l’esperimento laboratorio che, attraverso la coalizione BASILICATA2.0 – #lasceltagiusta prova a dare una risposta alle continue divisioni che troviamo tra le cause dell’attuale debolezza delle sinistre. Un laboratorioche prova a lasciare fuori le borie che ci hanno attraversato in questi anni, che si prefigge come obiettivo la riconnessione tra partiti, movimenti, cittadini e territori/comunità. Un laboratorioche prova, nel deserto che le sinistre tutte attraversano, a riaprire una partita che rimetta al centro della propria azione il tema della trasformazione e del cambiamento.

In questo periodo di “renzismo” galoppante, dove domina il tutto fumo e niente arrosto, quali sono per te pochi punti programmatici, cardine di una proposta politica di sinistra, attraverso i quali intervenire nell’immediato?
Al primo posto del nostro programma c’è il reddito minimo garantito, uno strumento utile e necessario per ridare dignità a quante e quanti non hanno un salario. Ad esso abbiamo aggiunto, quale paradigma di un programma possibile e necessario, la tutela del territorio e dell’ambiente declinata come messa in sicurezza e valorizzazione delle risorse naturalistiche, ma che parla anche di modello di sviluppo e di questione energetica, ricordandoci che parliamo di una regione in cui si estrae l’80% di petrolio nazionale. Altro punto fondamentale è sicuramente la formazione/istruzione, all’interno di un più ampio quadro di rilancio di politiche a sostegno della cultura.

Pensando alla Basilicata viene subito in mente Melfi…  
La centralità della proposta di reddito minimo garantito parla, più in generale, alla questione sociale e alla questione lavoro da tutti i punti di vista. Innanzitutto attraverso la sua garanzia, in una regione in cui assistiamo oramai quotidianamente ad una emorragia incontrollata di posti di lavoro, a partire dalla Fiat di Melfi e dal suo indotto – passando per finire al polo del salotto del materano – dove il lavoro fin qui esistente viene utilizzato come strumento di ricatto, attraverso un continuo livellamento verso il basso delle condizioni materiali di vita interne alle fabbriche. Quindi due i paradigmi su cui vi è l’urgenza a muoversi: da un lato il congelamento degli attuali livelli occupazionali, chiarendo che non un altro posto di lavoro può essere perso. A ciò urge un sostegno ai diritti e alle tutele delle lavoratrici e dei lavoratori, per evitare che l’attuale crisi si trasformi, definitivamente, come ‘occasione di ristrutturazione’ del modello la quale assi solo attraverso il taglio dei diritti. Senza dubbio è importante rilanciare la Fiat, rispettando però i lavoratori e il tessuto dell’economia locale (in particolare, per quanto riguarda la Basilicata, penso al settore agroalimentare, ma anche al turismo e alla cultura) e considerando anche la riconversione ecologica, nonchè la mobilità sostenibile.

La Basilicata quindi può rappresentare un laboratorio? Anche semplicemente soltanto a livello locale, può continuare a vivere questa “miracolosa” unità?
Come chiarivo ampiamente nella risposta alla prima domanda, l’esperimento che stiamo realizzando in Basilicata è un laboratorio. E’ il tentativo di superare le fratture che negli anni passati ci hanno tanto penalizzato, guardando prima di tutto ai punti programmatici che ci contraddistinguono e che abbiamo in comune. La visione della realtà economica, sociale e politica è la medesima e noi, nel nostro piccolo, abbiamo risposto positivamente all’appello che Piero Bevilacqua lanciava dalla pagine del Il Manifesto invitando Sel ad aprirsi e a svolgere funzione di filtro unitario. C’è da dire anche che in Basilicata Sel e Rifondazione insieme hanno condiviso l’azione di governo all’interno del centro-sinistra e insieme hanno vissuto e denunciato la cooptazione di pezzi di destra nell’ambito del Pd e di quella coalizione, così come hanno condiviso la elaborazione della proposta di reddito minimo che, insieme ad oltre cinquemila firme, abbiamo consegnato al consiglio regionale uscente.
Un laboratorio – lo ripeto – che ha riunito i migliori pezzi della sinistra tradizionale lucana e li ha messi in simbiosi con delle energie nuove che si sono avvicinate alla politica attraverso l’associazionismo e i movimenti. Se si continua così, si può sicuramente percorrere una lunga strada.