martedì 10 gennaio 2012

In piedi e seduti.

Una breve riflessione su Leo Longanesi, tra qualunquismo e conservatorismo.
di Agostino Giordano

Articolo pubblicato sulla "Nuova rivista Letteraria" - numero 4, novembre 2011


La storia delle destre italiane e del conservatorismo nostrano è senza dubbio caratterizzata anche da personaggi decisamente eccentrici e bizzarri: veri e propri intellettuali che spaziavano tra i varì campi dei saperi e delle arti, esercitando una forte influenza sullo scenario del dibattito politico. Questi personaggi li troviamo in modo particolare negli anni immediatamente successivi alla fine della Seconda guerra mondiale e per buona parte degli anni '50, cioè una fase storica aspra e conflittuale, caratterizzata da un contesto economico-sociale tragico e drammatico. Una di queste eminenti e autorevoli figure è senza dubbio quella di Leo Longanesi.
Longanesi è stato uno di quei commentatori delle vicende del nostro Paese che ben ha incarnato lo spirito di una parte della borghesia italiana, quella cioè che ha sempre contrastato e delegittimato la dimensione della politica in tutti i suoi ambiti e a tutti i suoi livelli, senza sconti né per le forze di governo e né per quelle di opposizione (“né di destra, né di sinistra”). Ovviamente questo approccio contrappositivo rispetto al mondo della politica e dei partiti ha spesso incontrato e si è confuso con gli umori e i sentimenti popolari più prossimi a quel qualunquismo che ha ravvivato e rafforzato le file delle formazioni e delle componenti della destra italiana. Proprio grazie agli evidenti tentativi di volare alto, quello di Longanesi è un tipo di qualunquismo che potremmo definire “d'élite”, un punto di vista particolare che comunque è sempre sopravvissuto nella storia contemporanea del nostro Paese e che, con alterne fortune, è arrivato sino ai giorni nostri e torna alla ribalta quando la politica mostra evidenti segni di crisi e di degenerazione.
In piedi e seduti, ad esempio, è il titolo di un libro di Leo Longanesi - la cui prima edizione è del 1948 - in cui vengono analizzati alcuni episodi decisivi per la storia italiana che va dal 1919 al 1943. Le sue considerazioni sono ciniche, i suoi giudizi verso i protagonisti delle vicende storiche narrate sono spietati e senza possibilità di appello, forti di un comodo, furbo e intelligente punto di vista apparentemente super partes. Rispetto ai nostri contemporanei “qualunquisti d'élite” al servizio delle destre, Longanesi rappresenta senza dubbio uno dei migliori maestri.
Spietata è infatti la condanna dei gruppi dirigenti liberali e socialisti, considerati – insieme alla Monarchia - pavidi e rinunciatari alla vigilia della prima guerra mondiale. Un'intera fase storica drammatica e tragica viene ridimensionata al livello di un'enorme farsa, in cui sono sbeffeggiati persino i protagonisti che risultano esserne i vincitori (come Mussolini e D'Annunzio, ad esempio, considerati i veri artefici dell'intervento italiano nel primo conflitto mondiale).
Un giudizio decisamente inedito e controcorrente rispetto all'affermazione del potere fascista in Italia Longanesi lo esprime nel momento in cui attribuisce la responsabilità della diffusa repressione attuata dalle camicie nere alle “violenze sovversive” praticate dai “rossi” socialisti. Tanto è vero questo che secondo Longanesi, agli inizi degli anni Venti del Secolo scorso, gli italiani “non comprendono lo spirito” dei terroristi e applaudono alle prime squadre di azione che “praticano la violenza”. Di conseguenza: “Il fascista in camicia nera, armato di bastone, che assale i cortei proletari, brucia le bandiere rosse, devasta le Camere del Lavoro e taglia la barba ai deputati socialisti ora entra da padrone nella vita nazionale.” Ed ecco una puntuale precisazione, priva di ogni fondamento storico, tipica di chi vuole ridimensionare i crimini e le responsabilità del fascismo, ma che, de facto, lo rivaluta: “A cercare nella storia del fascismo i responsabili dei varì delitti e delle varie aggressioni commesse in Italia, si scopre che sono sempre gli stessi uomini, cioè poche decine di persone. Gli altri, i cosiddetti squadristi, non erano che il coro, la massa decorativa che sia accontentava di bruciare le bandiere rosse o di allungare qualche ceffone, e fischiare sotto le Camere del Lavoro e le Prefetture del Regno.” Considerazioni simili le fanno gli esponenti della attuali destre italiane, fautori di una nuova “riconciliazione” nazionale tesa a cancellare i valori della Resistenza. Senza mezzi termini e senza peli sulla lingua secondo Longanesi durante il fascismo “Lo Stato diventò qualcosa di solido, di visibile: ebbe un indirizzo preciso, un campanello, un nome sull'uscio: Mussolini. E lo Stato fascista fu democratico: il portiere potè dare seri fastidi al proprio padron di casa, l'operaio potè diventare Seniore della Milizia e chiunque, purchè credesse, poteva ricorrere all'appoggio dello Stato contro chi fosse più ricco di lui. La piccola Borghesia ebbe il suo regime livellatore, che la difese dalla grande borghesia e dal proletariato, finché fu possibile.” Il regime fortunatamente cadde nel 1943 (ma solo nel 1945 e al termine della guerra l'Italia si liberò dal giogo dei nazifascisti) e l'immagine che propone Longanesi - sempre molto abile dal punto di vista letterario - è quella degli italiani che passano dall'essere “in piedi” protesi alla conquista dell'Impero in Africa verso la metà degli anni '30 (emblematica è l'impresa di Adua) ad essere “seduti” all'indomani dell'8 settembre del '43, intenti a leccarsi le ferite mentre i soldati tornano a fare i “borghesi” di ritorno dal fronte.
Gli attacchi frontali al mondo della politica - e in particolare al sistema partitocratico - Longanesi li portò poi avanti, con il solito approccio elitario, attraverso le pagine de Il Borghese, il noto periodico culturale basato sui tradizionali valori della borghesia e fondato nel 1950 (diretto fino al 1957), che divenne un punto di riferimento importante per una parte della destra italiana e che successivamente venne anche utilizzato come strumento di lotta al “malcostume” della società e della politica.
L'invettiva qualunquista però sembra davvero essere stata l'arma preferita dall'intellettuale Longanesi (scrittore, disegnatore, letterato, giornalista, etc.) che non a caso dal 1937 al 1939 diresse il popolare e antesignano rotocalco Omnibus (che ne aveva “per tutti” e che, fra le altre cose, ha pubblicato e tradotto numerosi scrittori censurati dal Fascismo, fra cui Hemingway) e scrisse poi anche per l'altrettanto popolare periodico Candido (più nettamente populista e anticomunista), fondato nel 1945 e diretto fino al 1957 da Giovannino Guareschi.