domenica 24 luglio 2011

Noi, i ragazzi del G8 di Genova

Nel decennale dell'evento che sconvolse l'Italia il racconto di un testimone lauriota di quei giorni terribili. Per comprendere cosa c'è dietro lo slogan "un altro mondo è possibile". E per scoprire che la speranza e la passione di un'intera generazione non si sono infrante nel capoluogo ligure



di AGOSTINO GIORDANO - articolo pubblicato su "Il Prometeo Lucano" - anno 01 n° 29 / 22 luglio 2011



Raccontare l'esperienza vissuta a Genova nel luglio del 2001, a distanza di dieci anni esatti, può sembrare un'operazione inutilmente retorica, indirizzata soltanto a chi è stato partecipe di quelle straordinarie e al contempo tragiche giornate, oppure a chi oggi ha quindici o venti anni e, dalle scuole occupate alle piazze delle varie indignazioni, dai comitati referendari per i beni comuni alle comunità “no-tav” della Val di Susa, vive la politica con radicalità e potrebbe incuriosirsi sentendo parlare di ciò che successe dieci anni fa. Le parole “Genova 2001”, “G8”, “Diaz”, “Bolzaneto”, “Carlo Giuliani”, “Placanica”, etc., in molti casi purtroppo oggi a tanti – specie giovani – non dicono nulla perché dimenticate, in altri casi vivono in una dimensione mitica, scollegate dalla quotidiana attualità.

Queste parole sono evidentemente riconducibili a un preciso evento storico, che è stato unico e irripetibile. In questa sede non voglio fare un racconto esaustivo di quelle giornate, né una cronistoria di tipo giornalistico, ma una narrazione particolare, nel senso che parte dal mio punto di vista e con esso si esaurisce, senza pretese di dimostrare alcunchè... anche perchè, come in tanti altri casi, sono davvero i fatti a parlare chiaro.

Sono arrivato all'appuntamento con Genova 2001 facendo alcuni passaggi intermedi fondamentali: le imponenti e determinate manifestazioni contro il WTO del novembre 1999 a Seattle (Usa), ebbero una tale eco anche in Europa e in Italia, che in tanti ragazzi e giovani ben presto si diffuse la consapevolezza di essere parte di un movimento globale (“movimento dei movimenti”) che metteva al centro la nobile istanza di volere e potere costruire “un altro mondo possibile”, contro la precarietà dell'esistenza e contro le ingiustizie sociali. Gli appuntamenti dei potenti divennero presto l'occasione imperdibile per dimostrare la forza di quel movimento e lo scenario mediatico migliore per far prevalere la voce dei ceti deboli, contro un sistema sordo, attento solo ai profitti di pochi miliardari. Insieme a tanti altri ho preso parte a diversi cosiddetti “contro – vertici” (fra cui quello di Napoli - Stop “Global Forum” - del marzo 2001), cioè quelle manifestazioni che contestavano i vertici dei potenti, gli appuntamenti ufficiali dei capi di stato, dei banchieri, dei finanziari, di coloro che decidevano (e in molti casi ancora decidono), il nostro futuro e il futuro dei nostri figli, muovendo le leve dell'economia mondiale a scapito della pace e della giustizia. La maggior parte delle volte queste manifestazioni, pacifiche e colorate, che accerchiavano le riunioni dei notabili dell'economia e della politica mondiale, sono state bruscamente interrotte dalla repressione delle forze di polizia. A Genova, al summit dei rappresentanti degli 8 Paesi più industrializzati e potenti del Mondo, ci arrivammo quindi consapevoli della possibilità di trovarci difronte ad un muro innalzato per non ascoltare le nostre voci e le nostre istanze. La volontà di non ascoltarci si concretizzava duramente mediante le altissime grate di ferro con le quali fu circondata la cosiddetta “zona-rossa” del centro storico del capoluogo ligure, che ospitava le delegazioni dei potenti. Di sicuro però tanti di noi non si aspettavano quello che poi accadde: una repressione terribile, una violenza inaudita scagliata perlopiù contro manifestanti indifesi e inermi. A Genova ci sono arrivato la sera di mercoledì 18 luglio, con un treno stracolmo di migliaia di manifestanti partito da Bologna. Il giorno dopo, giovedì 19, c'è stata la straordinaria e surreale manifestazione per i diritti dei migranti: bella, grande e colorata, che attraversava una città fantasma, blindatissima, in cui timidamente qualcuno ogni tanto esponeva dai balconi o dalle finestre mutande o lenzuola, per protestare contro l'invito dell'allora Presidente del Consiglio in carica Silvio Berlusconi di non rovinare la vetrina su cui erano puntati gli occhi e i riflettori del mondo.

Ma un mondo nuovo (l'altro mondo possibile) era anche lì a Genova, allo stadio Carlini che ospitava migliaia di giovani, nelle assemblee che si susseguivano e in cui si parlava di beni comuni e di diritti, di solidarietà sociale e di partecipazione. Un mondo nuovo era stato il percorso che ci aveva portato lì, che avevo toccato con mano non solo nella città in cui ho frequentato gli studi universitari e dove vivo (Bologna), ma anche in Basilicata e a Lauria, dove i dibattiti pubblici e i giovani mobilitati attorno alle tematiche esplose e poi soffocate a Genova furono tanti, vivi, appassionati e appassionanti.

Il 20 luglio però le passioni, i sogni e le speranze sembravano davvero essersi infrante contro la brutale e inaudita repressione delle cosiddette forze “dell'ordine”: le piazze tematiche spazzate via, manganelli e lacrimogeni contro le mani nude alzate e tinte di bianco. Ragazzi e ragazze, migranti, precari, portuali, suore, comunisti, cattolici, anarchici, libertari, autonomi: tutti massacrati senza possibilità di appello e senza sfumature, esattamente come il nero dei black bloc utilizzato per criminalizzare tutto e tutti e per inaugurare la sciagurata distinzione tra “buoni” e “cattivi”. La notizia della morte di Carlo Giuliani colpì davvero nel profondo tanti di noi, che per il giorno successivo si aspettavano una manifestazione dimessa e poco partecipata; soprattutto, si avvertiva il pericolo che la paura prevalesse sulla determinazione e sulla volontà di non arrendersi a quella brutalità. Invece il giorno dopo, sabato 21 luglio, fu una sorpresa bellissima scoprire che la partecipazione al corteo conclusivo era altissima (tanto che il numero stimato dei manifestanti è stato di circa centomila). Personalmente è stato il giorno che più mi è rimasto impresso, sia per la straordinaria risposta che quel movimento seppe dare, sia per quello che ho subito. Infatti la brutalità e l'arroganza delle forze di polizia non sembrò minimamente scalfita da ciò che successe il giorno prima e sin da subito le migliaia di militari presenti in assetto di guerra, con manganelli, incessanti e fitti lanci di lacrimogeni (lanciati anche dagli elicotteri e dalle barche ancorate al largo del porto di Genova...), cominciarono a caricare l'immenso corteo che dal lungomare voleva concludersi verso il centro della città. Nel vano tentativo di proseguire il percorso del corteo, come tanti altri compagni dei Giovani Comunisti e del Partito della Rifondazione Comunista con i quali avevo preso parte alla mobilitazione genovese, ad un certo punto siamo stati direttamente puntati e inseguiti da due autoblindo della polizia, che ci hanno costretto a scappare in un piccolo vicolo cieco con il ripetuto rischio di essere travolti o schiacciati contro i muri delle case. Rimasti in una decina, per salvarci dalle manganellate degli agenti scesi rabbiosamente dagli autoblindo, non ci rimase altra scelta che buttarci da una ringhiera di legno che dava su un piccolo giardino. Aiutando prima gli altri a buttarsi di sotto – la maggior parte dei quali era già ferita ed uno in particolare aveva la testa spaccata e sanguinante – mentre per ultimo tentavo di farlo, sono stato tirato dallo zaino - che portavo in spalla - da un poliziotto, che mi ha buttato a terra e ripetutamente preso a calci, manganellato e pesantemente insultato e minacciato di morte: picchiato, insultato, minacciato e manganellato non soltanto da lui, ma da almeno altri due suoi colleghi. Nel momento in cui si sono allontanati da me per pochi secondi, molto probabilmente per aprire il portellone dell'autoblindo da cui erano scesi, probabilmente per arrestarmi, ho avuto la forza e la lucidità di riuscire ad alzarmi e lanciarmi oltre la ringhiera finendo di sotto fra gli altri miei compagni. I poliziotti nel frattempo continuavano a urlare e a minacciarci e, pistole in pugno, ci promettevano di farci fare la stessa fine di Carlo Giuliani. Ad un certo punto ci siamo resi conto che ci eravamo buttati nel giardino di una piccola clinica, la cui responsabile dopo un po' di tempo è uscita. I poliziotti le hanno immediatamente urlato di aprire il cancello del giardino, in modo tale da poter prenderci tutti, ma fortunatamente questa Signora si è opposta con determinazione alla polizia, ribadendo più volte che quella era una proprietà privata e che non avevano nessun motivo di entrare lì. Dopo circa una mezz'ora finalmente i poliziotti hanno deciso di allontanarsi e noi, feriti e malconci, siamo riusciti a metterci in salvo.

L'incubo sembrava finito ma ripartire da Genova per tornare in treno a Bologna non è stato affatto facile: più che le manganellate e i colpi subiti dai poliziotti, pesava maggiormente la situazione complessiva di accerchiamento continuo che subivamo. La stazione ferroviaria circondata da polizia e carabinieri, militari sui binari a provocare di continuo i manifestanti, l'elicottero che girava e rigirava sulle nostre teste puntandoci il faro in faccia: tipiche situazioni che possono precedere un possibile arresto di massa. In contemporanea arrivava, tramite alcuni compagni, la notizia dell'irruzione alla Scuola Diaz da parte della polizia.

Tutte cose che capimmo bene nei giorni successivi, così come le violenze inflitte ai ragazzi e alla ragazze fermati e sequestrati nella Caserma di Bolzaneto.

A distanza ormai di dieci anni alcune responsabilità di dirigenti e funzionari delle forze di polizia sono state individuate dalla magistratura (ad esempio per ciò che è successo alla Diaz e a Bolzaneto); purtroppo però, anche grazie a “facili” archiviazioni e furbeschi depistaggi, nessuno ha veramente pagato per quello che è successo (anzi, alcuni poliziotti responsabili sono stati addirittura premiati!) e molti ancora devono rispondere di tante cose, in primis dell'omicidio di Carlo Giuliani.

Repressione per mettere fine ai sogni, alle passioni e alle speranze.

Tentano di farlo sempre, anche nei giorni scorsi in Val di Susa ci hanno provato: lacrimogeni e manganelli contro chi si oppone alla violenza perpetrata nei confronti del proprio ambiente e del proprio territorio. Ma proprio quando i sogni, le passioni e le speranze sembrano definitivamente abbattute e sconfitte, ecco che avviene “il miracolo”: di colpo le parole d'ordine che urlavamo per le strade di Genova dieci anni fa, tornano prepotentemente d'attualità e, come è avvenuto con i Referendum del 12 e 13 giugno scorso, gli slogan possono tradursi in realtà, dimostrando che un altro mondo è davvero possibile.

martedì 28 giugno 2011

PERCHE' L'AZIONE SIA SORELLA AL SOGNO

Rocco Scotellaro: sindaco, poeta e rivoluzionario



PERCHE' L'AZIONE SIA SORELLA AL SOGNO



di Agostino Giordano



Articolo pubblicato su “Nuova rivista letteraria” - semestrale di letteratura sociale

n.3 – maggio 2011



Oggi apparirebbe come un evento strano e assurdo, forse impensabile, ma in Italia, nel secolo scorso, è accaduto. È accaduto nel 1946 in Italia meridionale, precisamente in Basilicata, in una regione considerata da Carlo Levi “senza storia e senza stato”, che il regime fascista aveva utilizzato come terra di confino. A Tricarico, in provincia di Matera, fu eletto sindaco un poeta socialista che aveva appena ventitrè anni: Rocco Scotellaro.

Franco Fortini, intervenendo durante un convegno organizzato a Matera nel febbraio del 1955 da Raniero Panzieri – per conto del Partito Socialista Italiano (di cui ne era responsabile culturale) – tracciò una descrizione, del “sindaco – poeta”, intensa e appassionata ma allo stesso tempo severa e rigorosa. Scorrendo le parole di Fortini scopriamo che “Vi fu un giovane, figlio di povera gente di un povero paese del sud, che negli anni della vergogna e della speranza del suo paese seppe inserire il suo bisogno di bontà e di giustizia nelle forme di un secolare moto politico; e agire per il socialismo. Il dolore del passato del suo popolo e quello del suo presente, gonfio di interrogativi, di tradimenti e di angosce collettive ed individuali gli hanno dettato alcuni versi puri e liberi. Leggeteli e sperate. Il suo cuore è anche il vostro. Ed agite perché la fraternità non sia solo un sentimento; perché i poeti, per esistere, non debbano essere come cardellini accecati; ma perché la fraternità sia nelle cose, nelle istituzioni, nel pane che mangiate e nel vino che bevete, perché l'azione, come disse cent'anni fa un grande poeta francese, sia sorella al sogno. Quel giovane si chiamava Rocco Scotellaro”1.

Chi è stato dunque questo giovane poeta lucano che, a detta di Franco Fortini, incarnò l'anelito romantico del grande Baudelaire?

Rocco Scotellaro nacque a Tricarico nel 1923 da una famiglia povera e riuscì a portare avanti gli studi, ottenendo la maturità classica, attraversando diverse scuole e città. Nel 1942 frequentò per un breve periodo la facoltà di giurisprudenza a Roma, poi, a causa della morte del padre e della guerra, tornò nello stesso anno a Tricarico, dove cominciò un'intensa attività sindacale, continuando gli studi prima a Napoli e poi a Bari. Nel 1944 fondò – proprio a Tricarico - la sezione del Partito Socialista e nel 1946 venne appunto eletto sindaco. Con una breve interruzione nel 1948, ricoprì la carica di sindaco – molto amato dalla popolazione contadina - fino al 1950. Essendo una figura scomoda per i notabili ed i latifondisti locali, fu ingiustamente arrestato con gravi accuse (concussione, truffa e associazione a delinquere), incarcerato per circa quaranta giorni e poi assolto, con formula piena, per non aver commesso il fatto. Tra il '49 e '50 partecipò alle lotte per la terra, contro il latifondo e per la riforma agraria, divenendo una figura simbolica del mondo contadino lucano e meridionale, nonché importante punto di riferimento progressista degli ambienti politici e intellettuali italiani. Scrittore, poeta, saggista e giornalista – oltre che politico e rivoluzionario – il 15 dicembre 1953, Rocco Scotellaro morì prematuramente, all'età di trent'anni, a Portici, vicino a Napoli, dove, per conto di Manlio Rossi-Doria conduceva ricerche sociologiche e studi politico – economici. La gran parte delle sue opere fu pubblicata dopo la sua morte ed ottenne diversi riconoscimenti (nel 1954 vinse i premi Viareggio e San Pellegrino). Di queste le più importanti e conosciute sono: E' fatto giorno (raccolta di poesie scritte fra il 1940 e il 1943 e pubblicata per la prima volta nel 1954), Contadini del Sud (sempre del1954, sono una serie di racconti in cui traspare una vera e propria inchiesta sociologica), L'Uva Puttanella (romanzo autobiografico rimasto incompiuto a causa della sua morte e pubblicato nel 1955), Margherite e rosolacci (un'altra raccolta di poesie pubblicata nel 1978). Scrisse anche un opera teatrale, Giovani soli (pubblicata nel 1984). Rocco Scotellaro è stato un autore continuamente “scoperto” e “riscoperto”, sottovalutato prima e rivalutato poi, le cui opere inedite sono state pubblicata addirittura fino a oltre trent'anni dalla sua scomparsa. Diversi furono gli intellettuali che apprezzarono e coltivarono il talento di Scotellaro. Quelli che per primi gli aprirono le porte del mondo culturale italiano furono Carlo Levi e Manlio Rossi-Doria, entrambi confinati in Lucania dal regime fascista e conosciuti da Scotellaro nel 1946 ed entrambi profondi conoscitori della Basilicata rurale e contadina, terra di stenti di fame, di fatica, di solitudine, dominata dal “familismo amorale” (per dirla con Banfield), popolata dagli spettri dei briganti e mai raggiunta nemmeno da Cristo, che per un destino beffardo della storia decise di fermarsi a Eboli.

Quella di Scotellaro fu dunque una voce libera, genuina, laica e poco incline all'ortodossia. Per tali ragioni “scoperta” e valorizzata tardivamente anche dal Partito Comunista Italiano, che preferiva l'organicità granitica di altri intellettuali meridionali al pessimismo “verista” e libertario di Scotellaro.

Affidandoci nuovamente all'analisi che Franco Fortini opera sui versi di Rocco Scotellaro, possiamo anche noi scoprire, ad esempio, che il ritmo della poesia La casa viene paragonato al ritmo dell'ultima pagina dei Malavoglia di Verga2

Nelle poesie di Scotellaro, che Eugenio Montale considerò “tra le piú significative del nostro tempo”, c'è il pessimismo e la disperazione dei contadini abbandonati al loro destino sulle terre durissime e difficili da “lavorare”, ma anche la rivolta anarchica, il riscatto, il socialismo e la speranza. Infatti in alcuni sui celebri versi (forse i più conosciuti), “lungo il perire dei tempi/ l'alba è nuova, è nuova”. Significativo è l'autoritratto che abbozza nella poesia La mia bella patria: “Io sono un filo d'erba/ un filo d'erba che trema./ E la mia Patria è dove l'erba trema./ Un alito può trapiantare il mio seme lontano”.

Tra versi che ci raccontano di “comizi volanti” e di sere disperate in cui si rincorrono e si perdono amori, piccole gioie, dolori, paesaggi e volti di contadini lucani ma anche di genti incontrate durante il peregrinare fra svariati luoghi d'Italia, scopriamo che terribile fu la delusione all'indomani del voto del 18 aprile 1948 che consegnò, più o meno definitivamente, l'Italia alla Democrazia Cristiana ed in cui le sinistre furono sconfitte. Infatti la poesia Pozzanghera nera il diciotto aprile che così si conclude: “(...)/Noi vogliamo i soviet, i soviet dei pezzenti/ quelli che strappano ai padroni le maschere coi denti”.

Il mondo contadino di Rocco Scotellaro non c'è più ormai da tanti anni, ma il suo messaggio è attuale come non mai, la lotta difficile e necessaria contro la precarietà della vita, le ingiustizie sociali e le prevaricazione dei potenti e degli odierni notabili. Allo stesso modo è più che mai necessaria l'esigenza di coniugare l'iniziativa politica con l'iniziativa culturale, per far sì che i militanti - “poeti” non siano eccezioni, ma sistematici modi di essere per chi oggi si propone di praticare un'alternativa politica e sociale.

Per concludere dunque è opportuno citare, ancora una volta, altre parole di Franco Fortini, un altro grande scrittore - militante: “Rocco è la voce di uno di noi che, come noi, ha sentito e sofferto, premendo le labbra contro il saccone di crino o di foglie dei suoi contadini e di sua madre, quali possibilità illimitate siano aperte agli uomini. Con il suo tremore di fronte ad una grandezza che ancora non si sa liberare, con la sua speranza di mantenersi integro, di non tradire e di superare il tremito delle proprie labbra, egli ha fatto alcuni versi che abiteranno la nostra memoria. A lui sarebbe bastato; ma, se a noi non può bastare, dobbiamo andare avanti e portarlo con noi”3. Ancora oggi, continuiamo a leggerlo e a portarlo con noi, affinchè l'azione sia sorella al sogno.



1 Franco Fortini, La poesia di Rocco Scotellaro, Basilicata editrice, 1974, Roma - Matera pagg. 54-55



2 Ibidem, pag. 24



3 Ibidem, pagg. 58-59

venerdì 22 aprile 2011

Il potere della verità contro la stupidità del potere. In memoria di San Romero d’America

DOC-2346. ROMA-ADISTA. Seppure un giorno la canonizzazione “ufficiale” di mons. Oscar Romero dovesse aver luogo, nulla potrebbe più aggiungere alla prima santificazione, quella operata dal popolo – quella che davvero conta, secondo dom Pedro Casaldálig...a –, e alle altre che sono seguite: dalla «canonizzazione cristiana» rappresentata dall’immagine di Romero (accanto ad altre nove immagini di martiri cristiani del XX secolo) sulla facciata della cattedrale anglicana di Westminster fino alla «canonizzazione più laica» costituita dalla proclamazione, da parte del Consiglio dei diritti umani dell’Onu, del 24 marzo come “Giornata internazionale per il diritto alla verità sulle gravi violazioni dei diritti umani e la dignità delle vittime”. Ma c’è qualcosa di ancora più importante, ha sottolineato il gesuita e teologo della liberazione p. Jon Sobrino nella conferenza tenuta il 18 marzo scorso all’Università Centroamericana (Uca) di San Salvador, nel quadro delle celebrazioni del XXXI anniversario del martirio dell’arcivescovo: Romero, afferma, dobbiamo santificarlo «anche noi, dicendo la verità e difendendo i poveri e le vittime fino alle estreme conseguenze». Come ha ricordato ancora Casaldáliga, «la nostra coerenza sarà la migliore forma di canonizzazione di “San Romero d’America, Pastore e Martire”». Ed è proprio «sul mons. Romero che “disse la verità”» che si concentra Jon Sobrino nella sua conferenza, intendendo per verità non «qualunque verità» ma «quella che onora poveri e vittime»: «La verità è a favore dei poveri, che spesso hanno solo questa a loro favore». Questa verità, ha evidenziato il teologo, Romero «la disse “contro” la menzogna», e contro la forma più abituale di menzogna che è l’occultamento della verità; la disse, «come chiedeva Gesù, “dai tetti”», pubblicamente, in cattedrale, e attraverso la radio Ysax; «la disse “vigorosamente”, poiché la menzogna era aberrante, e la disse “lungamente e ripetutamente” poiché la menzogna occultava l’entità della negazione della vita». E nel dire la verità, Romero si convertì in «figura del popolo» che egli chiamò suo maestro - «il vescovo ha sempre molto da imparare dal suo popolo» - e suo profeta - «il popolo è il mio profeta» -; e in «difensore del popolo», scagliandosi contro oligarchi e militari e persino contro il presidente degli Stati Uniti. Come sottolinea Sobrino, infatti, «difendere non è solo “amare”, ma amare affinché i poveri non siano vittime di “nemici”»: si opta per i poveri, dunque, contro coloro che li opprimono. È così che «sorge il conflitto», «e la Chiesa si oppone di solito a un’opzione per i poveri così intesa». Sul potere della verità in opposizione alla «stupidità (e impotenza) del potere» si è soffermato anche p. Alberto Maggi durante la veglia ecumenica svoltasi il 25 marzo scorso nell’ambito delle celebrazioni romane del XXXI anniversario del martirio di mons. Romero, prendendo spunto da una pagina evangelica, quella della denuncia di Giovanni Battista nei confronti di Erode, oltremodo ricca di richiami all’attualità italiana. «Il potere è stupido», ha sottolineato Maggi, ed è per questo che «continua a perpetrare la sua azione di repressione e di morte» anche se ciò finisce per volgersi a suo danno: «È fallimentare opporsi alla vita. È come se le tenebre volessero opporsi alla luce: questa avrà sempre la meglio (Gv 1,5).». Di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, ampi stralci della conferenza di Jon Sobrino e l’intervento di Alberto Maggi. (claudia fanti) Fonte: http://www.adistaonline.it/index.php?op=articolo&id=49459

giovedì 3 febbraio 2011

VENT'ANNI FA, RIFONDAZIONE COMUNISTA

di Paolo Ferrero - Editoriale su Liberazione del 3 febbraio 2011

Vent’anni fa, domenica 3 febbraio 1991, una novantina di delegati abbandonarono la sala del XX congresso del Pci, che si teneva a Rimini, per non partecipare allo scioglimento del Pci e alla nascita Pds.
Immediatamente convocarono una conferenza stampa in cui Sergio Garavini, Armando Cossutta, Lucio Libertini, Ersilia Salvato e Rino Serri annunciarono la decisione di dar vita ad una formazione comunista.
I cinque, insieme a Guido Cappelloni e Bianca Bracci Torsi, si recarono quindi dal notaio per registrare il simbolo del Pci, segnalando anche sul piano legale la volontà di proseguire l’impegno politico in quanto comunisti e comuniste.
Una settimana dopo, al teatro Brancaccio di Roma, migliaia di compagni e compagne parteciparono alla prima assemblea di massa di quello che divenne il Movimento per la Rifondazione Comunista. Al Brancaccio venne esposta una enorme bandiera rossa, realizzata cucendo insieme centinaia e centinaia di bandiere e costruendo così, da basso, la più grande bandiera rossa mai realizzata.
Credo che oggi a quegli uomini e a quelle donne che hanno dato vita a Rifondazione comunista debba andare il nostro ringraziamento. Innanzitutto per il coraggio di andare controcorrente in una fase in cui, dopo la caduta del muro di Berlino, il capitalismo sembrava aver vinto la partita definitiva. Erano gli anni in cui Fukujama proclamava la “fine della storia” e in cui il capitalismo veniva presentato, prima ancora che invincibile, come un dato naturale. Se l’anticapitalismo non è stato soffocato in Italia è stato anche grazie a quella scelta.


Penso che il nostro ringraziamento vada espresso anche per il nome scelto: Rifondazione comunista. Tanti erano i nomi possibili e forti erano le spinte a caratterizzare una nuova formazione comunista semplicemente come la prosecuzione dell’esperienza precedente. Nella scelta del nome vi fu invece una precisa scelta politica che riteniamo valida ancor oggi. Comunista, perché siamo comunisti e comuniste che si battono per una società di liberi e di eguali che si può realizzare solo superando il capitalismo. Rifondazione, perché consapevoli che nella sua storia il movimento comunista ha compiuto molti errori ed in particolare che le esperienze del socialismo reale sono fallite, dando vita a regimi che contraddicevano radicalmente gli ideali comunisti.
Non quindi semplicemente la ricostruzione di un partito comunista, ma Rifondazione comunista nella consapevolezza che i due termini si qualificano a vicenda, e che solo una rifondazione teorica e pratica del comunismo avrebbe potuto porsi efficacemente l’obiettivo di superare “sul serio” il capitalismo. In questo senso rifondazione comunista non ha dato vita solo ad un partito ma ha esplicitato una indicazione generale, chiara, sulla necessità della rifondazione del comunismo.
Accanto ai primi soci fondatori molti e molte altre si aggiunsero nei mesi successivi e Rifondazione divenne un crogiuolo in cui diversi spezzoni ed esperienze politiche della sinistra di classe e comunista confluirono. La costruzione del Movimento prima e del Partito poi, fu una grande esperienze di dialogo e riconoscimento che riguardò in primo luogo decine e decine di migliaia di militanti che provenendo da storie diverse impararono a dialogare, a confrontarsi, a cercare collettivamente nuove strade.
Questo elemento della partecipazione dal basso è un elemento caratterizzante non solo la nascita, ma tutta l’esperienza di Rifondazione. Nel bene e nel male rifondazione non è stato solo un fenomeno politico ma è stata una esperienza di popolo, uno spazio pubblico, si direbbe oggi. Lo voglio ricordare perché la storia di Rifondazione rappresenta l’esemplificazione di uno degli slogan che il movimento si dette sin dall’inizio: liberamente comunisti. Credo che in nessun partito italiano gli iscritti, la cosiddetta base, abbia contato quanto ha contato in Rifondazione. In tutti i momenti di scelta e di scontro – e non sono stati pochi – alla fine ha sempre prevalso l’orientamento dei compagni e delle compagne iscritte anche sulle prese di posizione dei massimi dirigenti. Se vogliamo ricercare una conferma che il termine rifondazione è stato preso sul serio, lo possiamo trovare proprio in questo, nel non identificare il partito con i suoi gruppi dirigenti e nel mettere al centro della vita del partito la partecipazione.
Oggi, a distanza di vent’anni, vedendo come sono finiti il Pds e poi i Ds e poi il Pd, si può apprezzare fino in fondo la giustezza della scelta dei fondatori di Rifondazione. La cui ragione di esistenza non sta però solo nel fallimento delle esperienze politiche nate dallo scioglimento del Pci o nel nostro essere soggettivamente comunisti e comuniste. La ragione di fondo della nostra esistenza la troviamo al di fuori di noi e precisamente nella crisi capitalistica che è li a ricordarci come questo non sia il migliore dei mondi possibili. Il fondamento ultimo della nostra esistenza sta proprio li, nell’incapacità strutturale del capitalismo di dare una risposta ai bisogni dell’umanità e alla coniugazione del vivere civile con la limitatezza delle risorse del pianeta su cui viviamo. La drammatica alternativa tra socialismo e barbarie che si ripresenta oggi, ci dice di come l’esigenza del superamento del capitalismo sia più urgente che mai. Per questo noi, uomini e donne liberamente comunisti, vogliamo proseguire lungo il cammino intrapreso.

venerdì 14 gennaio 2011

Al fianco della Fiom, a maggior ragione con Amelia!

Care compagne e cari compagni,

vi ricordiamo che si potrà votare Amelia Frascaroli alle elezioni primariedomenica 23 Gennaio dalle ore 8,00 alle ore 22,00Tutti i Fuori sede che vogliono votare devono registrarsi sul sito delle Primarie (http://www.primariebologna2011.org) entro e non oltre le ore 12,00 del 21 gennaio

Riportiamo alcune importanti info tratte dal sito delle primarie:

- Per i cittadini immigrati residenti in Comune di Bologna che intendano esercitare il diritto di voto per le Primarie (pure non disponendo di tessera elettorale), è disponibile il documento completo con la corrispondenza tra indirizzo di residenza e seggio per le Primarie.

Ricordiamo che gli immigrati NON residenti dovranno preventivamente registrarsi sul sito usando il modulo cartaceo, ed eserciteranno il diritto di voto presso il Seggio speciale situato al Circolo ARCI “il Cassero”, in via Don Minzoni 18.

- I cittadini immigrati NON U.E. non residenti a Bologna – ma che dispongano di un domicilio nel capoluogo, e desiderino votare alle Primarie del Centrosinistra per il Comune – possono esercitare tale diritto previa registrazione dei propri dati. Tali dati verranno trasmessi al Presidente del Seggio Speciale presso cui si svolgeranno le operazioni di voto per questa categoria di elettori (c/o Circolo ARCI “il Cassero”, via Don Minzoni 18), in modo da consentirgli l’identificazione del votante.

La registrazione può essere effettuata utilizzando il form online disponibile all’interno del menu “CONTATTI”, o scaricando il modulo cartaceo dal menu “DOCUMENTI” e consegnadolo o inviandolo via fax al Comitato.

- Ricordiamo che è obbligatoria la compilazione di ogni campo del modulo; in particolare, il campo “Numero Documento” dovrà riportare gli estremi del documento (Passaporto o Permesso di Soggiorno NON SCADUTO) che il votante presenterà al seggio per l’identificazione.

- Tutti i lavoratori e gli studenti stranieri NON U.E. domiciliati a Bologna che desiderino esercitare il diritto di voto per le Primarie dovranno registrarsi presso il Comitato secondo le modalità indicate entro le ore 12 del giorno 21 gennaio 2011.

Sempre sul sito http://www.primariebologna2011.org si possono trovare tutte le informazioni necessarie per esercitare il voto e gli indirizzi dei seggi

Per seguire l’agenda degli appuntamenti e delle iniziative con la Frascaroli basta consultare il sito: http://www.ameliafrascaroli.it

Chi volesse dare una mano come scrutatore ai seggi e/o volesse collaborare con il comitato che sostiene Amelia Frascaroli durante gli ultimi importantissimi giorni di campagna propagandistica, può comunicarlo il prima possibile al compagno Agostino Giordano – 3284182111 / agostino.giordano@yahoo.it