[il
mondo della cultura è una “cittadella assediata”]
LA CULTURA COME ELEMENTO
FONDANTE DELL’INIZIATIVA POLITICA
di Agostino Giordano
pubblicato su “nuova
rivista Letteraria” - semestrale di letteratura sociale, n.6 –
ottobre 2012
Uno degli insegnamenti
che Stefano Tassinari ci ha lasciato in eredità e per il quale si è
sistematicamente impegnato e battuto fino all’ultimo, è quello di
considerare la cultura - intesa nel suo complesso - come uno dei
pilastri e degli elementi fondanti dell’iniziativa politica.
E questo suo intendimento
non è mai rimasto solo sulla carta, ma si è tradotto costantemente
in prassi, militanza, lotta e conflitto.
L’aver dato vita a
Bologna nel 2004, insieme a Stefania De Salvador, al Circolo del
Partito della Rifondazione Comunista “Victor Jara” – Culture e
spettacolo, è stata una delle dimostrazioni, tra l’altro molto ben
riuscita, di come sia possibile tradurre la teoria in pratica, anche
se ciò costa fatica, implica il metterci la faccia e rimetterci per
quanto concerne il tornaconto personale.
Stefano ha spesso dovuto
lottare contro tutto e tutti, contro le istituzioni locali e
nazionali, prendendo di petto il partito dentro al quale militava –
fortemente restio nel suo complesso a considerare la cultura come
terreno prioritario di battaglia politica – e anche il mondo della
sinistra, antagonista e non, al quale ripetutamente si riferiva per
sollecitarne nette e radicali svolte, affinché fossero messe al
centro del dibattito politico le problematiche legate ai vari ambiti
della cultura.
Beninteso, però, che le
sue sollecitazioni non si rivolgevano unilateralmente al mondo della
politica, ma erano dirette anche a quello della cultura affinché non
ci fossero, viceversa, remore ad affrontare e risolvere le emergenze
e le criticità considerando la politica come una dimensione
d’intervento indispensabile.
L’iniziativa politica
teorizzata e praticata da Stefano in materia culturale aveva
molteplici obiettivi. Quelli principali possono essere considerati i
seguenti: opposizione alla chiusura di spazi di produzione e
fruizione culturale (centri sociali e luoghi autogestiti,
biblioteche, enti culturali pubblici, etc…); creazione di una
rappresentanza politica degli operatori dei vari ambiti, da
considerare a tutti gli effetti lavoratori (attori, musicisti,
tecnici, impiegati, etc… comprendendo tutti i settori: teatro,
musica, cinema, arti figurative, editoria, danza, etc…);
elaborazione di vere e proprie proposte politiche, sia sul piano
legislativo che per quanto riguarda il rapporto (di collaborazione o
di eventuale conflittualità) con gli enti preposti al governo locale
e nazionale.
Emblematici, a tal
riguardo, sono diversi fatti. Fra questi senza dubbio la grande
mobilitazione (attraverso la quale furono raccolte oltre 5.000 firme)
organizzata da Stefano e dal Circolo Culture del Prc contro la
riduzione degli orari di apertura della biblioteca comunale “Sala
Borsa” di Bologna, che vide la partecipazione di tanti artisti e
scrittori e che culminò con un grande concerto in Piazza del Nettuno
il 25 febbraio 2006.
Stefano ha agito e si è
riferito spesso a Bologna e all'Emilia-Romagna, ma le sue analisi e
le sue proposte si possono estendere senza alcun dubbio anche a
livello nazionale e alle altre realtà locali, deficitarie dal punto
di vista delle politiche culturali.
Intervenendo a un
convegno proprio in “Sala Borsa”, a Bologna, nel maggio del 2009
(1), denunciava con la chiarezza e la lucidità che gli erano
proprie, la “discrepanza tra i bisogni reali e il punto di vista di
chi lavora nel campo artistico-culturale”, paragonando
metaforicamente il mondo della cultura a una “cittadella assediata”
in cui si parla un linguaggio completamente diverso da quello di chi
sta fuori, in particolare di coloro i quali dovrebbero essere gli
interlocutori di chi produce cultura o se ne occupa in qualche modo:
“stato, aziende, enti-locali”.
Per tentare di colmare
l’enorme “discrepanza”, con la solita nettezza sosteneva quanto
fosse dirimente provenire dal mondo della cultura per essere in grado
di occuparsi adeguatamente di tale tematica in politica: solo in
questo modo, infatti, si può evitare che ad occuparsi di cultura
siano politici cosiddetti “di professione”, che spesso ne
ignorano peculiarità e problematiche, avendo ricevuto l’incarico
esclusivamente sulla base di assurdi calcoli che incastrano equilibri
di schieramenti o coalizioni.
Altro passaggio
fondamentale, smascherare le ipocrisie e le contraddizioni dei poteri
forti: fondazioni bancarie, fiere, università, etc, le quali
formalmente si pongono in un modo, ma nella pratica fanno tutt’altro.
Nell’ambito di quel convegno del 2009 intervennero anche alcuni
vertici del mondo accademico bolognese e fu Stefano a denunciare in
quella sede la repressione operata dall’Università di Bologna
contro gli studenti di “Bartleby”, uno spazio universitario
inutilizzato e quindi occupato, da lui definito “un luogo
culturale”, fondato da studenti “bravi e colti”. A quel
convegno l’Università si era presentata con belle parole e tante
buone intenzioni, ma venne inchiodata alle proprie responsabilità da
chi vedeva una palese “discrasia” tra l’ufficialità dei
propositi e la realtà della repressione e della chiusura di luoghi
culturali.
Le grandi fondazioni
rappresentavano per Stefano un altro ostacolo alla diffusione della
cultura. Proprio nel 2009 una fondazione bancaria di Bologna “tolse”
un milione e mezzo di euro destinati alla provincia, in cui
rientravano i 16.000 euro che dovevano essere utilizzati per “La
parola immaginata” (prestigiosa rassegna a carattere internazionale
- da lui curata e diretta - di letteratura, musica e immagini, che ha
visto la partecipazione di grandi artisti e scrittori), che senza
quelle risorse diventava impossibile portare avanti. Destino comune,
questo, a tante altre simili esperienze di produzione culturale di
qualità, innovative, sperimentali.
“Viviamo in una
condizione di emergenza a Bologna come in Italia”. In Italia,
denunciava sempre durante quell'intervento del 2009 - ma lo ripeteva
spesso in altre situazioni e contesti - c'è stato un taglio
pesantissimo del Fondo Unico per lo spettacolo, in quanto si è
passati nel giro di un anno da 460 a 360 milioni di euro all'anno.
Quando si parla di Fondo Unico bisogna intendere tutto: teatro,
cinema, danza, musica, attività circense, etc... Tanti strabuzzavano
gli occhi quando ricordava che in Francia il Fondo Unico per lo
spettacolo era pari a circa 7 miliardi e 200 milioni di euro
all'anno.
I tagli alla cultura
fatti dai governi nazionali, quello Berlusconi in particolare, erano
per Stefano gravi e inaccettabili, però il vero problema era da
individuare nel fatto che la cultura non è mai stata considerata un
investimento e, a livello di iniziativa politica e di scelte
governative, il cosiddetto “centro-sinistra” non ha fatto altro
che inseguire il centro-destra sullo stesso terreno. Il che ha
portato spesso gli enti locali, incapaci di gestire le politiche
culturali, con troppa facilità a scaricare qualsiasi tipo di
responsabilità sui tagli imposti dal governo, lavandosene bellamente
le mani e assistendo impassibili alla desertificazione di intere
comunità e territori o, addirittura, a tagliare anche quando non era
indispensabile farlo.
La logica aziendalista e
produttivista delle destre e la tendenza continua alla
privatizzazione della cultura rappresentavano, secondo Stefano,
elementi da scardinare. Illuminante in proposito l'esempio della
“Legge Carlucci” in cui è previsto il finanziamento dei teatri
in base al numero degli spettatori, concezione che si trova spesso
ribadita anche nei programmi delle coalizioni di centro-sinistra e
che, se applicata, può essere davvero deleteria. In totale contrasto
Stefano ripeteva che “la cultura deve poter lavorare sulla
contemporaneità anche dei costi” e che la realizzazione di
produzioni di nicchia deve poter essere preservata.
Le privatizzazioni e la
tendenza a creare fondazioni sono state fallimentari e soprattutto,
sempre per tornare alle parole di Stefano, “l'intervento dei
privati nelle fondazioni liriche non ha portato quei benefici che
Veltroni prima e la Melandri poi speravano!”
Erano queste le cose che
secondo Stefano bisognava dire per “capire come uscire da una
situazione di grandissima crisi”. Sempre secondo dati da lui
forniti nel 2009, in Italia erano circa un milione le persone
iscritte all'Enpals (Ente Nazionale di Previdenza e di
Assistenza per i Lavoratori dello Spettacolo, le cui funzioni nel
2011 sono passate all'Inps), 300.000 i lavoratori dello spettacolo in
Italia (soltanto a Roma 55.00 addetti nelle imprese audiovisive, con
un indotto di 110.000), mentre le imprese culturali riscontrabili sul
territorio nazionale circa 27.000.
Dal 2009 la situazione è
sicuramente peggiorata ma quelle cifre (anche se oggi non sono
esattamente le stesse) ci parlano di un pezzo di società importante,
fatto di gente in carne e ossa, “un patrimonio che sta per essere
massacrato dalla “mancanza di sensibilità del mondo politico e del
mondo imprenditoriale” e dalla ricerca continua del grande evento
che è accettabile se allestito da un privato, ma che diventa
“catastrofico” se ad organizzarlo è un ente pubblico, poiché,
ad esempio, “non è possibile che per un solo grande evento si
spendano tutte le risorse che possono essere distribuite su un'intera
stagione”.
La mancanza di
progettualità, un'altra problematica molte volte sollevata da
Stefano e riferita in particolar modo a Bologna ma ovviamente
estendibile a molte altre realtà. Si mettono in campo faraonici
progetti infrastrutturali legati alla costruzione di strade,
metropolitane, civis, people-mover , ponti, tav
e quanto altro, ma di progetti culturali nemmeno l’ombra. Per non
parlare delle idee e delle proposte, quasi mai recepite. Stefano
teneva tanto, facendo riferimento alla città di Bologna, alla
realizzazione della “Casa della Letteratura”, un progetto a
carattere europeo nato circa quattordici anni fa e portato avanti
dall’associazione di scrittori del capoluogo emiliano. Come lui
temeva, ad oggi è ancora lettera morta, anche se permane la speranza
che possa prima o poi realizzarsi.
In un’intervista
rilasciata per il periodico on line www.e-rossa.it
nel febbraio 2011 (2), Stefano, analizzando gli aspetti
positivi e quelli negativi del mondo artistico – culturale
dell’Emilia-Romagna in relazione agli interventi legislativi
regionali, esprimeva anche una serie di valutazioni, di idee e di
pareri che possono essere considerati punti cardine di una proposta
complessiva riferita alle politiche culturali.
Riteneva strumenti molto
importanti ed efficaci le cosiddette “leggi di settore”,
specifiche per ogni diverso ambito della cultura e che, quando sono
state attuate, hanno portato buoni risultati, mentre, nei settori
dove non si sono realizzate se ne sente l’esigenza. Quando
l’amministrazione regionale è stata vicino agli ambienti della
produzione culturale e artistica si sono ottenuti esiti positivi.
Riconoscere e promuovere le “vocazioni locali” di ogni singola
provincia o di un territorio aiuta a non sovrapporre gli interventi e
ad evitare casi di sovrapproduzione culturale o altri di scarsa
produzione. In periodo di crisi e a causa dei tagli agli enti locali
operati dal governo nazionale si può razionalizzare senza per forza
mettere in ginocchio un determinato settore; senza dubbio ci sono
degli ambiti dove si può “razionalizzare di più” per evitare
che si taglino risorse alla cultura.
Una legge di settore
molto importante che, ad esempio in Emilia-Romagna ancora manca e
rispetto alla quale Stefano aveva lavorato realizzando un progetto, è
quella sull’editoria, a tutela delle case editrici e delle librerie
indipendenti. La prepotente affermazione delle “libreria di catena”
e delle librerie negli ipermercati diminuisce la possibilità di
scelta per i lettori che si trovano innanzi soltanto “libri
prefabbricati” o “commercialmente interessanti” (ovviamente per
chi li produce), mentre “si taglia alla radice la cultura
alternativa, la cultura di ricerca, la cultura di sperimentazione, la
cultura altra rispetto a quella televisiva che ormai passa attraverso
i romanzi, i saggi, i libri, la cosiddetta varia”. Ecco
perché secondo Stefano era fondamentale preservare e tutelare le
librerie indipendenti e le biblioteche che, specie per i piccoli
centri, spesso rappresentano l’unico presidio di civiltà. Tutto
ciò, però, secondo lui doveva essere fatto attraverso una legge,
per aiutare i piccoli proprietari di librerie a pagare gli affitti, a
volte davvero esorbitanti, o le piccole case editrici a sopravvivere
(specie quelle che valorizzano gli scrittori veri e non quelli che
pubblicano qualsiasi cosa purché a pagamento da parte dell’autore).
Una legge “per normare la divulgazione alta”, per esportare la
nostra cultura editoriale e la produzione culturale. E poi? E poi
secondo Stefano si doveva fare di più per il cinema, per il teatro,
per la musica, per tutelare i musei e per tanto altro.
Le riflessioni, le parole
e le proposte di Stefano Tassinari sono di un’attualità dirompente
e la sua (la nostra) battaglia politica per la Cultura è ancora
tutta davanti a noi.
- Il video dell'intervento si trova sul sito www.wumingfoundation.com
- Il video dell’intervista si trova sul sito dell' archivio on line www.stefanotassinari.it