domenica 10 febbraio 2013

LA CULTURA COME ELEMENTO FONDANTE DELL’INIZIATIVA POLITICA


[il mondo della cultura è una “cittadella assediata”]

LA CULTURA COME ELEMENTO FONDANTE DELL’INIZIATIVA POLITICA
di Agostino Giordano

pubblicato su “nuova rivista Letteraria” - semestrale di letteratura sociale, n.6 – ottobre 2012

Uno degli insegnamenti che Stefano Tassinari ci ha lasciato in eredità e per il quale si è sistematicamente impegnato e battuto fino all’ultimo, è quello di considerare la cultura - intesa nel suo complesso - come uno dei pilastri e degli elementi fondanti dell’iniziativa politica.
E questo suo intendimento non è mai rimasto solo sulla carta, ma si è tradotto costantemente in prassi, militanza, lotta e conflitto.
L’aver dato vita a Bologna nel 2004, insieme a Stefania De Salvador, al Circolo del Partito della Rifondazione Comunista “Victor Jara” – Culture e spettacolo, è stata una delle dimostrazioni, tra l’altro molto ben riuscita, di come sia possibile tradurre la teoria in pratica, anche se ciò costa fatica, implica il metterci la faccia e rimetterci per quanto concerne il tornaconto personale.
Stefano ha spesso dovuto lottare contro tutto e tutti, contro le istituzioni locali e nazionali, prendendo di petto il partito dentro al quale militava – fortemente restio nel suo complesso a considerare la cultura come terreno prioritario di battaglia politica – e anche il mondo della sinistra, antagonista e non, al quale ripetutamente si riferiva per sollecitarne nette e radicali svolte, affinché fossero messe al centro del dibattito politico le problematiche legate ai vari ambiti della cultura.
Beninteso, però, che le sue sollecitazioni non si rivolgevano unilateralmente al mondo della politica, ma erano dirette anche a quello della cultura affinché non ci fossero, viceversa, remore ad affrontare e risolvere le emergenze e le criticità considerando la politica come una dimensione d’intervento indispensabile.
L’iniziativa politica teorizzata e praticata da Stefano in materia culturale aveva molteplici obiettivi. Quelli principali possono essere considerati i seguenti: opposizione alla chiusura di spazi di produzione e fruizione culturale (centri sociali e luoghi autogestiti, biblioteche, enti culturali pubblici, etc…); creazione di una rappresentanza politica degli operatori dei vari ambiti, da considerare a tutti gli effetti lavoratori (attori, musicisti, tecnici, impiegati, etc… comprendendo tutti i settori: teatro, musica, cinema, arti figurative, editoria, danza, etc…); elaborazione di vere e proprie proposte politiche, sia sul piano legislativo che per quanto riguarda il rapporto (di collaborazione o di eventuale conflittualità) con gli enti preposti al governo locale e nazionale.
Emblematici, a tal riguardo, sono diversi fatti. Fra questi senza dubbio la grande mobilitazione (attraverso la quale furono raccolte oltre 5.000 firme) organizzata da Stefano e dal Circolo Culture del Prc contro la riduzione degli orari di apertura della biblioteca comunale “Sala Borsa” di Bologna, che vide la partecipazione di tanti artisti e scrittori e che culminò con un grande concerto in Piazza del Nettuno il 25 febbraio 2006.
Stefano ha agito e si è riferito spesso a Bologna e all'Emilia-Romagna, ma le sue analisi e le sue proposte si possono estendere senza alcun dubbio anche a livello nazionale e alle altre realtà locali, deficitarie dal punto di vista delle politiche culturali.
Intervenendo a un convegno proprio in “Sala Borsa”, a Bologna, nel maggio del 2009 (1), denunciava con la chiarezza e la lucidità che gli erano proprie, la “discrepanza tra i bisogni reali e il punto di vista di chi lavora nel campo artistico-culturale”, paragonando metaforicamente il mondo della cultura a una “cittadella assediata” in cui si parla un linguaggio completamente diverso da quello di chi sta fuori, in particolare di coloro i quali dovrebbero essere gli interlocutori di chi produce cultura o se ne occupa in qualche modo: “stato, aziende, enti-locali”.
Per tentare di colmare l’enorme “discrepanza”, con la solita nettezza sosteneva quanto fosse dirimente provenire dal mondo della cultura per essere in grado di occuparsi adeguatamente di tale tematica in politica: solo in questo modo, infatti, si può evitare che ad occuparsi di cultura siano politici cosiddetti “di professione”, che spesso ne ignorano peculiarità e problematiche, avendo ricevuto l’incarico esclusivamente sulla base di assurdi calcoli che incastrano equilibri di schieramenti o coalizioni.
Altro passaggio fondamentale, smascherare le ipocrisie e le contraddizioni dei poteri forti: fondazioni bancarie, fiere, università, etc, le quali formalmente si pongono in un modo, ma nella pratica fanno tutt’altro. Nell’ambito di quel convegno del 2009 intervennero anche alcuni vertici del mondo accademico bolognese e fu Stefano a denunciare in quella sede la repressione operata dall’Università di Bologna contro gli studenti di “Bartleby”, uno spazio universitario inutilizzato e quindi occupato, da lui definito “un luogo culturale”, fondato da studenti “bravi e colti”. A quel convegno l’Università si era presentata con belle parole e tante buone intenzioni, ma venne inchiodata alle proprie responsabilità da chi vedeva una palese “discrasia” tra l’ufficialità dei propositi e la realtà della repressione e della chiusura di luoghi culturali.
Le grandi fondazioni rappresentavano per Stefano un altro ostacolo alla diffusione della cultura. Proprio nel 2009 una fondazione bancaria di Bologna “tolse” un milione e mezzo di euro destinati alla provincia, in cui rientravano i 16.000 euro che dovevano essere utilizzati per “La parola immaginata” (prestigiosa rassegna a carattere internazionale - da lui curata e diretta - di letteratura, musica e immagini, che ha visto la partecipazione di grandi artisti e scrittori), che senza quelle risorse diventava impossibile portare avanti. Destino comune, questo, a tante altre simili esperienze di produzione culturale di qualità, innovative, sperimentali.
“Viviamo in una condizione di emergenza a Bologna come in Italia”. In Italia, denunciava sempre durante quell'intervento del 2009 - ma lo ripeteva spesso in altre situazioni e contesti - c'è stato un taglio pesantissimo del Fondo Unico per lo spettacolo, in quanto si è passati nel giro di un anno da 460 a 360 milioni di euro all'anno. Quando si parla di Fondo Unico bisogna intendere tutto: teatro, cinema, danza, musica, attività circense, etc... Tanti strabuzzavano gli occhi quando ricordava che in Francia il Fondo Unico per lo spettacolo era pari a circa 7 miliardi e 200 milioni di euro all'anno.
I tagli alla cultura fatti dai governi nazionali, quello Berlusconi in particolare, erano per Stefano gravi e inaccettabili, però il vero problema era da individuare nel fatto che la cultura non è mai stata considerata un investimento e, a livello di iniziativa politica e di scelte governative, il cosiddetto “centro-sinistra” non ha fatto altro che inseguire il centro-destra sullo stesso terreno. Il che ha portato spesso gli enti locali, incapaci di gestire le politiche culturali, con troppa facilità a scaricare qualsiasi tipo di responsabilità sui tagli imposti dal governo, lavandosene bellamente le mani e assistendo impassibili alla desertificazione di intere comunità e territori o, addirittura, a tagliare anche quando non era indispensabile farlo.
La logica aziendalista e produttivista delle destre e la tendenza continua alla privatizzazione della cultura rappresentavano, secondo Stefano, elementi da scardinare. Illuminante in proposito l'esempio della “Legge Carlucci” in cui è previsto il finanziamento dei teatri in base al numero degli spettatori, concezione che si trova spesso ribadita anche nei programmi delle coalizioni di centro-sinistra e che, se applicata, può essere davvero deleteria. In totale contrasto Stefano ripeteva che “la cultura deve poter lavorare sulla contemporaneità anche dei costi” e che la realizzazione di produzioni di nicchia deve poter essere preservata.
Le privatizzazioni e la tendenza a creare fondazioni sono state fallimentari e soprattutto, sempre per tornare alle parole di Stefano, “l'intervento dei privati nelle fondazioni liriche non ha portato quei benefici che Veltroni prima e la Melandri poi speravano!”
Erano queste le cose che secondo Stefano bisognava dire per “capire come uscire da una situazione di grandissima crisi”. Sempre secondo dati da lui forniti nel 2009, in Italia erano circa un milione le persone iscritte all'Enpals (Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza per i Lavoratori dello Spettacolo, le cui funzioni nel 2011 sono passate all'Inps), 300.000 i lavoratori dello spettacolo in Italia (soltanto a Roma 55.00 addetti nelle imprese audiovisive, con un indotto di 110.000), mentre le imprese culturali riscontrabili sul territorio nazionale circa 27.000.
Dal 2009 la situazione è sicuramente peggiorata ma quelle cifre (anche se oggi non sono esattamente le stesse) ci parlano di un pezzo di società importante, fatto di gente in carne e ossa, “un patrimonio che sta per essere massacrato dalla “mancanza di sensibilità del mondo politico e del mondo imprenditoriale” e dalla ricerca continua del grande evento che è accettabile se allestito da un privato, ma che diventa “catastrofico” se ad organizzarlo è un ente pubblico, poiché, ad esempio, “non è possibile che per un solo grande evento si spendano tutte le risorse che possono essere distribuite su un'intera stagione”.
La mancanza di progettualità, un'altra problematica molte volte sollevata da Stefano e riferita in particolar modo a Bologna ma ovviamente estendibile a molte altre realtà. Si mettono in campo faraonici progetti infrastrutturali legati alla costruzione di strade, metropolitane, civis, people-mover , ponti, tav e quanto altro, ma di progetti culturali nemmeno l’ombra. Per non parlare delle idee e delle proposte, quasi mai recepite. Stefano teneva tanto, facendo riferimento alla città di Bologna, alla realizzazione della “Casa della Letteratura”, un progetto a carattere europeo nato circa quattordici anni fa e portato avanti dall’associazione di scrittori del capoluogo emiliano. Come lui temeva, ad oggi è ancora lettera morta, anche se permane la speranza che possa prima o poi realizzarsi.
In un’intervista rilasciata per il periodico on line www.e-rossa.it nel febbraio 2011 (2), Stefano, analizzando gli aspetti positivi e quelli negativi del mondo artistico – culturale dell’Emilia-Romagna in relazione agli interventi legislativi regionali, esprimeva anche una serie di valutazioni, di idee e di pareri che possono essere considerati punti cardine di una proposta complessiva riferita alle politiche culturali.
Riteneva strumenti molto importanti ed efficaci le cosiddette “leggi di settore”, specifiche per ogni diverso ambito della cultura e che, quando sono state attuate, hanno portato buoni risultati, mentre, nei settori dove non si sono realizzate se ne sente l’esigenza. Quando l’amministrazione regionale è stata vicino agli ambienti della produzione culturale e artistica si sono ottenuti esiti positivi. Riconoscere e promuovere le “vocazioni locali” di ogni singola provincia o di un territorio aiuta a non sovrapporre gli interventi e ad evitare casi di sovrapproduzione culturale o altri di scarsa produzione. In periodo di crisi e a causa dei tagli agli enti locali operati dal governo nazionale si può razionalizzare senza per forza mettere in ginocchio un determinato settore; senza dubbio ci sono degli ambiti dove si può “razionalizzare di più” per evitare che si taglino risorse alla cultura.
Una legge di settore molto importante che, ad esempio in Emilia-Romagna ancora manca e rispetto alla quale Stefano aveva lavorato realizzando un progetto, è quella sull’editoria, a tutela delle case editrici e delle librerie indipendenti. La prepotente affermazione delle “libreria di catena” e delle librerie negli ipermercati diminuisce la possibilità di scelta per i lettori che si trovano innanzi soltanto “libri prefabbricati” o “commercialmente interessanti” (ovviamente per chi li produce), mentre “si taglia alla radice la cultura alternativa, la cultura di ricerca, la cultura di sperimentazione, la cultura altra rispetto a quella televisiva che ormai passa attraverso i romanzi, i saggi, i libri, la cosiddetta varia”. Ecco perché secondo Stefano era fondamentale preservare e tutelare le librerie indipendenti e le biblioteche che, specie per i piccoli centri, spesso rappresentano l’unico presidio di civiltà. Tutto ciò, però, secondo lui doveva essere fatto attraverso una legge, per aiutare i piccoli proprietari di librerie a pagare gli affitti, a volte davvero esorbitanti, o le piccole case editrici a sopravvivere (specie quelle che valorizzano gli scrittori veri e non quelli che pubblicano qualsiasi cosa purché a pagamento da parte dell’autore). Una legge “per normare la divulgazione alta”, per esportare la nostra cultura editoriale e la produzione culturale. E poi? E poi secondo Stefano si doveva fare di più per il cinema, per il teatro, per la musica, per tutelare i musei e per tanto altro.
Le riflessioni, le parole e le proposte di Stefano Tassinari sono di un’attualità dirompente e la sua (la nostra) battaglia politica per la Cultura è ancora tutta davanti a noi.


  1. Il video dell'intervento si trova sul sito www.wumingfoundation.com
  2. Il video dell’intervista si trova sul sito dell' archivio on line www.stefanotassinari.it