L’attualità del
messaggio di Don Lorenzo Milani nelle parole di un suo allievo.
di
Agostino Giordano
Intervista
a Edoardo Martinelli
del “Gruppo storico
della Lettera a
una professoressa”
- Centro ricerca e formazione Don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana
– Vicchio Mugello (FI)
Pubblicata
su “nuova rivista letteraria” - semestrale di letteratura
sociale, n-8, ottobre 2013.
Nel maggio del 1967 veniva pubblicata Lettera a una professoressa, un testo scritto collettivamente dai ragazzi della Scuola di Barbiana (una frazione del comune di Vicchio, sull'Appennino toscano in provincia di Firenze) e dal loro priore Don Lorenzo Milani. Don Milani moriva nel giugno di quello stesso anno e, da allora, Barbiana ha rappresentato un punto di riferimento fondamentale per chi difende l'istruzione pubblica, ma soprattutto per chi crede che la scuola non debba essere “fine a se stessa”, ma realmente al servizio degli studenti e per la trasformazione della società. Una scuola di tutti: libera, autonoma, competente e solidale. Come tante cose buone del secolo scorso, Don Milani e la scuola di Barbiana rischiano di finire nel dimenticatoio, o di essere ricordate per gli aspetti che interessano solo ad alcuni, perché funzionali a uno specifico tornaconto. Del pensiero di Don Milani, ad esempio, si son fatte strumentalizzazioni e semplificazioni che ne hanno spesso snaturato il messaggio autentico e originario. La maggior parte di quelli che al giorno d'oggi lo conoscono, tendono più facilmente ad associarlo a quell' “I care”, rispolverato da Walter Veltroni per affrancarsi dal comunismo e per consacrare l’ennesima svolta moderata di quello che rimaneva del Pci (Ds), piuttosto che alle pagine dei suoi testi, di quelle dei suoi studenti o ai suoi efficaci metodi d'insegnamento.
In tempi di sofferenza della scuola
pubblica, il pensiero di Don Milani risulta essere inevitabilmente
molto attuale. Per tali motivi è stato utile intervistare Edoardo
Martinelli del “Gruppo
storico della Lettera
a una professoressa”
- Centro ricerca e formazione Don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana
– Vicchio Mugello (FI).
Edoardo Martinelli chiarisce
subito che “noi abbiamo una posizione
che non è di difesa della scuola statale. Noi non crediamo né nel
privato né nello stato. Noi crediamo in una scuola autogestita,
meglio sarebbe se fosse statale, dove ciò che conta sono i progetti,
che dovrebbero essere democratici. Al giorno d'oggi in Italia non
abbiamo una scuola democratica.”
Io faccio parte del “Gruppo
storico della Lettera
a una professoressa”,
ho vissuto la mia esperienza a Barbiana nella fase delle grandi
scritture collettive cioè nel periodo successivo all'incontro tra
Don Milani e Mario Lodi (importante pedagogista, nonché scrittore e
insegnante, tra i maggiori esponenti del cosiddetto “Movimento di
Cooperazione educativa”, nda). Indubbiamente quello è stato il
periodo più ricco a livello didattico, in cui Barbiana non era più
una comunità di contadini poveri, incapaci o incompetenti, ma una
vera e propria comunità pensante. Questo è un aspetto che va messo
in luce, perché spesso gli intellettuali legano Barbiana a un
contesto di estrema povertà: la cosa è anche vera ma, quando in un
contesto povero arriva un buon educatore e quel contesto rimane
comunque emarginato e sfruttato, vuol dire che l'educatore non
funziona. Invece quando a Barbiana è arrivato Don Milani la sua
scuola si è subito legata a quel contesto di realtà e non era certo
una scuola che viveva “fine a se stessa”, come quella dello
Stato, astratta, classista e elitaria come abbiamo denunciato proprio
nella Lettera a
una professoressa.
Barbiana è associabile al luogo in cui si prende coscienza del
proprio stato e si reagisce! Uno dei pilastri della pedagogia di Don
Milani risiede proprio qui: la scuola deve essere inserita nella
realtà quotidiana e legata alla concretezza della vita. Purtroppo la
scuola di oggi è ancora troppo nozionistica ed è incapace di
proporre agli studenti un vero e proprio progetto di vita. L’idea
di scuola di Don Milani realizzata a Barbiana, si sviluppa nella
piena maturità del Maestro, in seguito anche a diverse esperienze da
lui vissute in precedenza a San Donato di Calenzano nell'ambito della
formazione e dell'educazione degli adulti.
Chi vuol capire cosa è stata la Scuola di Don Milani, deve andare a Barbiana?
Non è che
andando a vedere i musei si capisce cosa è stata la Scuola di
Barbiana. Bisogna andare in tutte quelle scuole, come ad esempio
l'Istituto comprensivo “Gandhi” di Prato, dove si lavora in
apprendimento cooperativo. Oppure a Caivano, nella periferia di
Napoli, alla “don Milani”, dove da tanti anni alcune insegnanti
operano applicando la stessa sensibilità del Priore. In questo tipo
di realtà, a volte riescono addirittura a interpretare il pensiero e
gli insegnamenti di Don Milani, meglio di chi ha vissuto direttamente
l'esperienza della Scuola di Barbiana. La scuola è una cosa dinamica
che non si può certo relegare ai muri, alla montagna e ai contesti.
Tutto ciò può emozionare e va bene, però non bisogna cadere
nell'errore di molti intellettuali - e fra questi c'è anche Padre
Balducci, che nonostante ciò per me rimane un mito - che legano
Barbiana a un contesto di povertà: se si commette questo errore non
si è capito niente della Scuola di Barbiana. Barbiana è anche il
contesto di estrema povertà, ma è il contesto nel quale il povero,
apprendendo – cioè attraverso la conoscenza e la cultura –
prende coscienza. Questa è Barbiana: la presa di coscienza.
Don Milani
puntava il dito contro una scuola dell’obbligo che bocciava tanti
studenti (in particolar modo quelli poveri) e che non era in grado di
risolvere il dramma, caratterizzato allora da grandi numeri, della
dispersione scolastica. Le cose sono cambiate ma, al giorno d'oggi la
scuola sembra essere ancora “classista” e a rimetterci, oggi come
allora, sono in maniera prevalente le studentesse e gli studenti che
provengono dai cosiddetti “ceti deboli” della nostra società,
mentre, i “ricchi”, in qualche modo, sembrano comunque cavarsela.
Quella di oggi sembra una scuola fatta per il mercato, in cui non è
difficile constatare che le politiche neoliberiste affossano anno
dopo anno il diritto allo studio. Insomma, guardando alla realtà
odierna e all'attualità, secondo lei, le istanze e le denunce poste
attraverso la Lettera
a una professoressa
sono rimaste inevase? Sono le stesse?
Sul fatto che il
metodo e le pratiche della Scuola di Barbiana siano attuali e
applicabili ancor oggi, non ci sono dubbi. E' altrettanto vero però
che Barbiana è stata fortemente mistificata: cioè del suo messaggio
si sono considerati di più gli aspetti ideologici e meno gli aspetti
metodologici, didattici e pedagogici. Si è analizzata poco la
quotidianità di un maestro che, inserito in uno specifico contesto,
lo trasforma attraverso una scuola progettuale del territorio: questo
è il miracolo di Barbiana. A Barbiana non c'era la strada, la scuola
ha progettato la strada; a Barbiana non c'era l'acqua, la scuola ha
progettato il modo per far arrivare l'acqua; gli studenti, essendo in
una dimensione scolastica dinamica, avevano l'esigenza di vivere
un'esperienza all'estero e non c'erano le possibilità per farlo, la
scuola allora ha progettato e realizzato le vacanze all'estero per
gli studenti. Questa è la scuola dell'autonomia e del territorio.
Diciamo la verità: ai tempi in cui era ministro Berlinguer,
nonostante i limiti della sua riforma - e io stesso lo contestavo -
si rifletteva ancora nell'ottica della didattica attiva e dei metodi
della Scuola di Barbiana. Dopo Berlinguer, fatto fuori dai sindacati,
la scuola ha avuto un declino enorme. A mio giudizio, il problema
dello stato italiano e della scuola è che abbiamo un sindacato che
non è più capace di fare una politica salariale unitaria. Tutto ciò
crea i presupposti per le discriminazioni e per la selezione di
classe. La scuola dovrebbe porsi oggi una questione fondamentale: il
rischio a cui si va incontro è che le nuove generazioni, i giovani,
combatteranno contro le vecchie generazioni. Noi, i giovani della
Scuola di Barbiana, avevamo una complicità con le vecchie
generazioni per affrontare la vita, oggi no.
Insomma qualche decennio fa i contorni “di
classe” erano più definiti, oggi sembra che siano più definiti i
contorni “generazionali”...
Si rischia
davvero un pericoloso scontro generazionale e tutto ciò non si può
sottovalutare. Oggi la società è basata sui privilegi del “vecchio”
e non sulla tutela di chi è giovane e socialmente debole.
Gli sfruttati e gli sfruttatori esistono ancora, però ciò che
bisogna individuare bene e capire sono i meccanismi dello
sfruttamento oggi, che sono decisamente cambiati. Oggi l'elemento più
aggressivo della società è lo stato. Come avrebbe detto Watzlawick
- e su ciò avrebbe concordato anche Don Milani - dal momento che
gran parte dei politici sono corrotti e incapaci di avere ideali, se
un giovane non avrà imparato il linguaggio dei politici non farà
carriera. Questo è il “filtro di Watzlawick”. Negli anni
sessanta, infatti, secondo me in Italia un intellettuale simile a Don
Milani, quello che come pensiero gli si avvicinava maggiormente, era
senza dubbio Pasolini. Due profeti.
Rileggendo le
pagine di Lettera
a una professoressa,
fra le tante cose, c'è questo passaggio che mi ha particolarmente
colpito e che mi ha dato la sensazione di essere ancora molto
attuale, anche se i problemi della scuola oggi sono differenti:
“[...] Anche il fine dei vostri ragazzi è un mistero. Forse non
esiste, forse è volgare. Giorno per giorno studiano per il registro,
per la pagella, per il diploma. E intanto si distraggono dalle cose
belle che studiano. Lingue, storia, scienze, tutto diventa voto e
null'altro. Dietro a quei fogli di carta c'è solo l'interesse
individuale. Il diploma è quattrini. Nessuno di voi lo dice. Ma
stringi stringi il succo è quello. Per studiare volentieri nelle
vostre scuole bisognerebbe essere già arrivisti a 12 anni. A 12 anni
gli arrivisti son pochi. Tant'è vero che la maggioranza dei vostri
ragazzi odia la scuola. Il vostro invito volgare non meritava altra
risposta”.(1) Individualismo esasperato, competitività,
abbrutimento dei legami sociali e perdita di valori quali la
solidarietà e la cooperazione sono elementi ormai fondanti della
moderna società occidentale, che in Italia sono particolarmente
accentuati e che pervadono in maniera totalizzante la quotidianità,
a partire dalle aule scolastiche di ogni ordine e grado. E'
d'accordo?
La scuola di ieri
era oligarchica e settaria, la scuola di oggi è comunque di massa.
Infatti oggi gli insegnanti, gli operatori sociali, gli operatori
sanitari e i sindacati sono corresponsabili della situazione
complessiva in cui la scuola si trova. Non siamo più nella fase del
Dopoguerra, periodo in cui lo scontro di classe aveva requisiti di
tipo diverso. Oggi stiamo uscendo da una fase in cui in l'Italia c'è
stata una forte socialdemocrazia con uno spiccato interesse per lo
stato sociale; quindi l'elemento che distrugge la scuola non è la
contrapposizione tra buoni e cattivi, la scuola sta implodendo perché
non si hanno più le risorse e le competenze per farla vivere. Non
dobbiamo individuare uno scontro di classe, ma invece riconoscere che
viviamo in una società che non produce più cultura. Io oggi
addirittura rimpiango anche i “Pierini” (i ragazzi delle famiglie
ricche, così chiamati nelle pagine di Lettera
a una professoressa,
nda)! Prima almeno i ricchi avevano le competenze e le capacità di
costruire industrie e avviare attività, realizzavano contesti in cui
dopo bisognava comunque lottare per far prevalere le istanze di
giustizia e libertà, però c'era intelligenza. Oggi non è più
così.
Quindi, come
vede il futuro della scuola italiana?
Lo vedo molto
nero. Se penso che nel 2013 si costringono decine di ragazzi a far
lezioni in pochi metri quadrati di spazio, significa che non c'è già
più la scuola, ma batterie per i polli d'allevamento. Faccio un
altro esempio, molto provocatorio: in Italia si spendono, in media,
6.400 euro per studente all'anno. Perché non ripristinare i tutor in
un contesto di scuola pubblica, abolendo però la scuola di stato?
Perché non affidare soltanto tre studenti a un insegnate, che
farebbe loro da “tutor” praticando una metodo didattico di tipo
dinamico, attraverso biblioteche e quant'altro? Utilizzando quei
6.400 euro all'anno, dopo aver moltiplicato questa cifra per tre, si
arriverebbe a pagare più di mille euro al mese l'insegnante. Molti
insegnanti precari nemmeno lo guadagnano uno stipendio di mille euro
per tutti i mesi dell'anno solare. Il problema è scardinare quel
meccanismo perverso che è stato inventato facendo finta di
dimostrare che la scuola è un contenitore efficiente. Nei fatti non
è così. Quel contenitore però contribuisce ad ammazzare il nostro
Paese. L'ex ministro dell'Istruzione Tullio De Mauro, che avrà
commesso diversi errori ma è comunque una persona intelligente che
produce delle ottime analisi, ci dice che al giorno d'oggi il 70%
degli italiani non sarebbe in grado di capire l'articolo di fondo di
un giornale. Lui utilizza in realtà un'altra espressione: “gli
italiani al 70% non sono più in grado di capire un testo complesso”.
Rileggendo Lettera
a una professoressa,
tra le righe si intuisce molto bene quale era la verifica che Don
Lorenzo proponeva ai suoi studenti. Lui sostanzialmente diceva:
“quello che io pretendo dai ragazzi al termine della mia scuola è
che sappiano leggere, comprendere e discutere l'articolo di fondo di
un giornale”. Questo era l'esame di Barbiana. Tutto il contrario di
ciò che ha prodotto la società neoliberista. Non si può però
piangere sul latte versato. Ora ci vorrebbero delle riforme talmente
radicali che in tanti dovrebbero avere la forza e la capacità di
rinunciare a tutta una serie di privilegi. Nella scuola così come è
ridotta oggi le “buone pratiche” non si potranno mai attuare. La
scuola statale odierna prima è stata fatta implodere, come del resto
tutti gli elementi fondanti dello stato sociale, poi pian piano
smantellata svendendola ai privati. Ma allo stesso modo è stato
fatto con le ferrovie e i trasporti pubblici, le poste e quant'altro.
Quindi secondo
lei non basta mobilitarsi affinché siano destinati più fondi e
risorse alla scuola pubblica?
Secondo me ci
sono diverse famiglie che, al di là di tutte le mobilitazioni che
sono giuste e importanti, stanno agendo però in modo davvero
rivoluzionario, forte e chiaro: cioè stanno creando scuole
autogestite. Le chiamano “scuole familiari” perché altrimenti
la legge non consentirebbe loro di ottenere contributi. Queste sono
le scuole vicine al mondo di Barbiana. Sono scuole in cui viene
offerto un servizio pubblico, però non sono statali. Questa è
Barbiana: scuola pubblica che però non è succube di uno stato
autoritario, che sa fare solo i conti in tasca ai cittadini, senza
dargli diritti e valori. Bisogna tornare a parlare e riflettere in
termini di autonomia, così come si faceva ai tempi del ministro
Berlinguer, che però molti di noi contestavano proprio perché alla
fine si intendeva l'autonomia soltanto in funzione imprenditoriale.
Invece l'autonomia deve essere di idee, di contesti, di territori, di
situazioni, etc. Nell'ambito della “Riforma Berlinguer” c'era una
base di riflessione che avrebbe potuto portare alle “buone
pratiche”, ma da Berlinguer in poi il declino è stato continuo: ci
sono stati tagli che hanno ridimensionato notevolmente le spese, si
sono chiuse le piccole scuole. Insomma, le metodologie di
insegnamento della Scuola di Barbiana nell'attuale contenitore
disastrato e folle che è la scuola di stato italiana, non sono
assolutamente praticabili.
Sintetizzando con
un motto, potremmo dire: “né di stato e né privata, scuola
pubblica autogestita”. Quella di Barbiana è stata una scuola che è
andata oltre i concetti di democrazia tradizionali. La scuola per Don
Milani era condurre il ragazzo sul “filo del rasoio”: a
comprendere cioè che le verità non sono mai assolute. Vorrei
riproporre qui un ricordo che ho di Don Milani, che è semplicemente
il ricordo di un allievo, ma che ritengo molto significativo. Durante
una lezione a Barbiana, leggendo un testo di Calamandrei sulla carta
costituzionale, Don Milani all'improvviso disse: “ve lo immaginate
ragazzi se la Costituzione l'avessero scritta solo i comunisti?”.
Io, che venivo da una famiglia comunista, subito sobbalzai e pensai
“eccolo, vien fuori il prete!”. Dopo due o tre minuti di silenzio
- lui ci aveva abituato, fra l'altro, alle pause riflessive - disse:
“e ve lo immaginate se l'avessero scritta solo i democristiani?”.
Con quelle parole ha voluto dimostrare che noi abbiamo una carta
costituzionale di valore perché ognuno ha dovuto rispettare l'altro.
Democrazia non significa dittatura del 51%. La vera Democrazia è il
rispetto della minoranza.
- Scuola di Barbiana, Lettera
a una professoressa , Libreria Editrice
Fiorentina, pag.24
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