giovedì 26 giugno 2014

La cruda aderenza della parola al pensiero

L’attualità del messaggio di Don Lorenzo Milani nelle parole di un suo allievo.

di Agostino Giordano

Intervista a Edoardo Martinelli del “Gruppo storico della Lettera a una professoressa” - Centro ricerca e formazione Don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana – Vicchio Mugello (FI)

Pubblicata su “nuova rivista letteraria” - semestrale di letteratura sociale, n-8, ottobre 2013.

Nel maggio del 1967 veniva pubblicata
Lettera a una professoressa, un testo scritto collettivamente dai ragazzi della Scuola di Barbiana (una frazione del comune di Vicchio, sull'Appennino toscano in provincia di Firenze) e dal loro priore Don Lorenzo Milani. Don Milani moriva nel giugno di quello stesso anno e, da allora, Barbiana ha rappresentato un punto di riferimento fondamentale per chi difende l'istruzione pubblica, ma soprattutto per chi crede che la scuola non debba essere “fine a se stessa”, ma realmente al servizio degli studenti e per la trasformazione della società. Una scuola di tutti: libera, autonoma, competente e solidale. Come tante cose buone del secolo scorso, Don Milani e la scuola di Barbiana rischiano di finire nel dimenticatoio, o di essere ricordate per gli aspetti che interessano solo ad alcuni, perché funzionali a uno specifico tornaconto. Del pensiero di Don Milani, ad esempio, si son fatte strumentalizzazioni e semplificazioni che ne hanno spesso snaturato il messaggio autentico e originario. La maggior parte di quelli che al giorno d'oggi lo conoscono, tendono più facilmente ad associarlo a quell' “I care”, rispolverato da Walter Veltroni per affrancarsi dal comunismo e per consacrare l’ennesima svolta moderata di quello che rimaneva del Pci (Ds), piuttosto che alle pagine dei suoi testi, di quelle dei suoi studenti o ai suoi efficaci metodi d'insegnamento.
In tempi di sofferenza della scuola pubblica, il pensiero di Don Milani risulta essere inevitabilmente molto attuale. Per tali motivi è stato utile intervistare Edoardo Martinelli del “Gruppo storico della Lettera a una professoressa” - Centro ricerca e formazione Don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana – Vicchio Mugello (FI).
Edoardo Martinelli chiarisce subito che “noi abbiamo una posizione che non è di difesa della scuola statale. Noi non crediamo né nel privato né nello stato. Noi crediamo in una scuola autogestita, meglio sarebbe se fosse statale, dove ciò che conta sono i progetti, che dovrebbero essere democratici. Al giorno d'oggi in Italia non abbiamo una scuola democratica.”


Don Milani ha insegnato a Barbiana dal 1954 al 1967, lei è stato un suo allievo?
Io faccio parte del “Gruppo storico della Lettera a una professoressa”, ho vissuto la mia esperienza a Barbiana nella fase delle grandi scritture collettive cioè nel periodo successivo all'incontro tra Don Milani e Mario Lodi (importante pedagogista, nonché scrittore e insegnante, tra i maggiori esponenti del cosiddetto “Movimento di Cooperazione educativa”, nda). Indubbiamente quello è stato il periodo più ricco a livello didattico, in cui Barbiana non era più una comunità di contadini poveri, incapaci o incompetenti, ma una vera e propria comunità pensante. Questo è un aspetto che va messo in luce, perché spesso gli intellettuali legano Barbiana a un contesto di estrema povertà: la cosa è anche vera ma, quando in un contesto povero arriva un buon educatore e quel contesto rimane comunque emarginato e sfruttato, vuol dire che l'educatore non funziona. Invece quando a Barbiana è arrivato Don Milani la sua scuola si è subito legata a quel contesto di realtà e non era certo una scuola che viveva “fine a se stessa”, come quella dello Stato, astratta, classista e elitaria come abbiamo denunciato proprio nella Lettera a una professoressa. Barbiana è associabile al luogo in cui si prende coscienza del proprio stato e si reagisce! Uno dei pilastri della pedagogia di Don Milani risiede proprio qui: la scuola deve essere inserita nella realtà quotidiana e legata alla concretezza della vita. Purtroppo la scuola di oggi è ancora troppo nozionistica ed è incapace di proporre agli studenti un vero e proprio progetto di vita. L’idea di scuola di Don Milani realizzata a Barbiana, si sviluppa nella piena maturità del Maestro, in seguito anche a diverse esperienze da lui vissute in precedenza a San Donato di Calenzano nell'ambito della formazione e dell'educazione degli adulti.



Chi vuol capire cosa è stata la Scuola di Don Milani, deve andare a Barbiana?
Non è che andando a vedere i musei si capisce cosa è stata la Scuola di Barbiana. Bisogna andare in tutte quelle scuole, come ad esempio l'Istituto comprensivo “Gandhi” di Prato, dove si lavora in apprendimento cooperativo. Oppure a Caivano, nella periferia di Napoli, alla “don Milani”, dove da tanti anni alcune insegnanti operano applicando la stessa sensibilità del Priore. In questo tipo di realtà, a volte riescono addirittura a interpretare il pensiero e gli insegnamenti di Don Milani, meglio di chi ha vissuto direttamente l'esperienza della Scuola di Barbiana. La scuola è una cosa dinamica che non si può certo relegare ai muri, alla montagna e ai contesti. Tutto ciò può emozionare e va bene, però non bisogna cadere nell'errore di molti intellettuali - e fra questi c'è anche Padre Balducci, che nonostante ciò per me rimane un mito - che legano Barbiana a un contesto di povertà: se si commette questo errore non si è capito niente della Scuola di Barbiana. Barbiana è anche il contesto di estrema povertà, ma è il contesto nel quale il povero, apprendendo – cioè attraverso la conoscenza e la cultura – prende coscienza. Questa è Barbiana: la presa di coscienza.


Don Milani puntava il dito contro una scuola dell’obbligo che bocciava tanti studenti (in particolar modo quelli poveri) e che non era in grado di risolvere il dramma, caratterizzato allora da grandi numeri, della dispersione scolastica. Le cose sono cambiate ma, al giorno d'oggi la scuola sembra essere ancora “classista” e a rimetterci, oggi come allora, sono in maniera prevalente le studentesse e gli studenti che provengono dai cosiddetti “ceti deboli” della nostra società, mentre, i “ricchi”, in qualche modo, sembrano comunque cavarsela. Quella di oggi sembra una scuola fatta per il mercato, in cui non è difficile constatare che le politiche neoliberiste affossano anno dopo anno il diritto allo studio. Insomma, guardando alla realtà odierna e all'attualità, secondo lei, le istanze e le denunce poste attraverso la Lettera a una professoressa sono rimaste inevase? Sono le stesse?
Sul fatto che il metodo e le pratiche della Scuola di Barbiana siano attuali e applicabili ancor oggi, non ci sono dubbi. E' altrettanto vero però che Barbiana è stata fortemente mistificata: cioè del suo messaggio si sono considerati di più gli aspetti ideologici e meno gli aspetti metodologici, didattici e pedagogici. Si è analizzata poco la quotidianità di un maestro che, inserito in uno specifico contesto, lo trasforma attraverso una scuola progettuale del territorio: questo è il miracolo di Barbiana. A Barbiana non c'era la strada, la scuola ha progettato la strada; a Barbiana non c'era l'acqua, la scuola ha progettato il modo per far arrivare l'acqua; gli studenti, essendo in una dimensione scolastica dinamica, avevano l'esigenza di vivere un'esperienza all'estero e non c'erano le possibilità per farlo, la scuola allora ha progettato e realizzato le vacanze all'estero per gli studenti. Questa è la scuola dell'autonomia e del territorio. Diciamo la verità: ai tempi in cui era ministro Berlinguer, nonostante i limiti della sua riforma - e io stesso lo contestavo - si rifletteva ancora nell'ottica della didattica attiva e dei metodi della Scuola di Barbiana. Dopo Berlinguer, fatto fuori dai sindacati, la scuola ha avuto un declino enorme. A mio giudizio, il problema dello stato italiano e della scuola è che abbiamo un sindacato che non è più capace di fare una politica salariale unitaria. Tutto ciò crea i presupposti per le discriminazioni e per la selezione di classe. La scuola dovrebbe porsi oggi una questione fondamentale: il rischio a cui si va incontro è che le nuove generazioni, i giovani, combatteranno contro le vecchie generazioni. Noi, i giovani della Scuola di Barbiana, avevamo una complicità con le vecchie generazioni per affrontare la vita, oggi no.
Insomma qualche decennio fa i contorni “di classe” erano più definiti, oggi sembra che siano più definiti i contorni “generazionali”...
Si rischia davvero un pericoloso scontro generazionale e tutto ciò non si può sottovalutare. Oggi la società è basata sui privilegi del “vecchio” e non sulla tutela di chi è giovane e socialmente debole. Gli sfruttati e gli sfruttatori esistono ancora, però ciò che bisogna individuare bene e capire sono i meccanismi dello sfruttamento oggi, che sono decisamente cambiati. Oggi l'elemento più aggressivo della società è lo stato. Come avrebbe detto Watzlawick - e su ciò avrebbe concordato anche Don Milani - dal momento che gran parte dei politici sono corrotti e incapaci di avere ideali, se un giovane non avrà imparato il linguaggio dei politici non farà carriera. Questo è il “filtro di Watzlawick”. Negli anni sessanta, infatti, secondo me in Italia un intellettuale simile a Don Milani, quello che come pensiero gli si avvicinava maggiormente, era senza dubbio Pasolini. Due profeti.



Rileggendo le pagine di Lettera a una professoressa, fra le tante cose, c'è questo passaggio che mi ha particolarmente colpito e che mi ha dato la sensazione di essere ancora molto attuale, anche se i problemi della scuola oggi sono differenti: “[...] Anche il fine dei vostri ragazzi è un mistero. Forse non esiste, forse è volgare. Giorno per giorno studiano per il registro, per la pagella, per il diploma. E intanto si distraggono dalle cose belle che studiano. Lingue, storia, scienze, tutto diventa voto e null'altro. Dietro a quei fogli di carta c'è solo l'interesse individuale. Il diploma è quattrini. Nessuno di voi lo dice. Ma stringi stringi il succo è quello. Per studiare volentieri nelle vostre scuole bisognerebbe essere già arrivisti a 12 anni. A 12 anni gli arrivisti son pochi. Tant'è vero che la maggioranza dei vostri ragazzi odia la scuola. Il vostro invito volgare non meritava altra risposta”.(1) Individualismo esasperato, competitività, abbrutimento dei legami sociali e perdita di valori quali la solidarietà e la cooperazione sono elementi ormai fondanti della moderna società occidentale, che in Italia sono particolarmente accentuati e che pervadono in maniera totalizzante la quotidianità, a partire dalle aule scolastiche di ogni ordine e grado. E' d'accordo?
La scuola di ieri era oligarchica e settaria, la scuola di oggi è comunque di massa. Infatti oggi gli insegnanti, gli operatori sociali, gli operatori sanitari e i sindacati sono corresponsabili della situazione complessiva in cui la scuola si trova. Non siamo più nella fase del Dopoguerra, periodo in cui lo scontro di classe aveva requisiti di tipo diverso. Oggi stiamo uscendo da una fase in cui in l'Italia c'è stata una forte socialdemocrazia con uno spiccato interesse per lo stato sociale; quindi l'elemento che distrugge la scuola non è la contrapposizione tra buoni e cattivi, la scuola sta implodendo perché non si hanno più le risorse e le competenze per farla vivere. Non dobbiamo individuare uno scontro di classe, ma invece riconoscere che viviamo in una società che non produce più cultura. Io oggi addirittura rimpiango anche i “Pierini” (i ragazzi delle famiglie ricche, così chiamati nelle pagine di Lettera a una professoressa, nda)! Prima almeno i ricchi avevano le competenze e le capacità di costruire industrie e avviare attività, realizzavano contesti in cui dopo bisognava comunque lottare per far prevalere le istanze di giustizia e libertà, però c'era intelligenza. Oggi non è più così.


Quindi, come vede il futuro della scuola italiana?
Lo vedo molto nero. Se penso che nel 2013 si costringono decine di ragazzi a far lezioni in pochi metri quadrati di spazio, significa che non c'è già più la scuola, ma batterie per i polli d'allevamento. Faccio un altro esempio, molto provocatorio: in Italia si spendono, in media, 6.400 euro per studente all'anno. Perché non ripristinare i tutor in un contesto di scuola pubblica, abolendo però la scuola di stato? Perché non affidare soltanto tre studenti a un insegnate, che farebbe loro da “tutor” praticando una metodo didattico di tipo dinamico, attraverso biblioteche e quant'altro? Utilizzando quei 6.400 euro all'anno, dopo aver moltiplicato questa cifra per tre, si arriverebbe a pagare più di mille euro al mese l'insegnante. Molti insegnanti precari nemmeno lo guadagnano uno stipendio di mille euro per tutti i mesi dell'anno solare. Il problema è scardinare quel meccanismo perverso che è stato inventato facendo finta di dimostrare che la scuola è un contenitore efficiente. Nei fatti non è così. Quel contenitore però contribuisce ad ammazzare il nostro Paese. L'ex ministro dell'Istruzione Tullio De Mauro, che avrà commesso diversi errori ma è comunque una persona intelligente che produce delle ottime analisi, ci dice che al giorno d'oggi il 70% degli italiani non sarebbe in grado di capire l'articolo di fondo di un giornale. Lui utilizza in realtà un'altra espressione: “gli italiani al 70% non sono più in grado di capire un testo complesso”. Rileggendo Lettera a una professoressa, tra le righe si intuisce molto bene quale era la verifica che Don Lorenzo proponeva ai suoi studenti. Lui sostanzialmente diceva: “quello che io pretendo dai ragazzi al termine della mia scuola è che sappiano leggere, comprendere e discutere l'articolo di fondo di un giornale”. Questo era l'esame di Barbiana. Tutto il contrario di ciò che ha prodotto la società neoliberista. Non si può però piangere sul latte versato. Ora ci vorrebbero delle riforme talmente radicali che in tanti dovrebbero avere la forza e la capacità di rinunciare a tutta una serie di privilegi. Nella scuola così come è ridotta oggi le “buone pratiche” non si potranno mai attuare. La scuola statale odierna prima è stata fatta implodere, come del resto tutti gli elementi fondanti dello stato sociale, poi pian piano smantellata svendendola ai privati. Ma allo stesso modo è stato fatto con le ferrovie e i trasporti pubblici, le poste e quant'altro.


Quindi secondo lei non basta mobilitarsi affinché siano destinati più fondi e risorse alla scuola pubblica?
Secondo me ci sono diverse famiglie che, al di là di tutte le mobilitazioni che sono giuste e importanti, stanno agendo però in modo davvero rivoluzionario, forte e chiaro: cioè stanno creando scuole autogestite. Le chiamano “scuole familiari” perché altrimenti la legge non consentirebbe loro di ottenere contributi. Queste sono le scuole vicine al mondo di Barbiana. Sono scuole in cui viene offerto un servizio pubblico, però non sono statali. Questa è Barbiana: scuola pubblica che però non è succube di uno stato autoritario, che sa fare solo i conti in tasca ai cittadini, senza dargli diritti e valori. Bisogna tornare a parlare e riflettere in termini di autonomia, così come si faceva ai tempi del ministro Berlinguer, che però molti di noi contestavano proprio perché alla fine si intendeva l'autonomia soltanto in funzione imprenditoriale. Invece l'autonomia deve essere di idee, di contesti, di territori, di situazioni, etc. Nell'ambito della “Riforma Berlinguer” c'era una base di riflessione che avrebbe potuto portare alle “buone pratiche”, ma da Berlinguer in poi il declino è stato continuo: ci sono stati tagli che hanno ridimensionato notevolmente le spese, si sono chiuse le piccole scuole. Insomma, le metodologie di insegnamento della Scuola di Barbiana nell'attuale contenitore disastrato e folle che è la scuola di stato italiana, non sono assolutamente praticabili.


In sintesi, per gli ex allievi di Don Milani, come dovrebbe essere la scuola oggi?
Sintetizzando con un motto, potremmo dire: “né di stato e né privata, scuola pubblica autogestita”. Quella di Barbiana è stata una scuola che è andata oltre i concetti di democrazia tradizionali. La scuola per Don Milani era condurre il ragazzo sul “filo del rasoio”: a comprendere cioè che le verità non sono mai assolute. Vorrei riproporre qui un ricordo che ho di Don Milani, che è semplicemente il ricordo di un allievo, ma che ritengo molto significativo. Durante una lezione a Barbiana, leggendo un testo di Calamandrei sulla carta costituzionale, Don Milani all'improvviso disse: “ve lo immaginate ragazzi se la Costituzione l'avessero scritta solo i comunisti?”. Io, che venivo da una famiglia comunista, subito sobbalzai e pensai “eccolo, vien fuori il prete!”. Dopo due o tre minuti di silenzio - lui ci aveva abituato, fra l'altro, alle pause riflessive - disse: “e ve lo immaginate se l'avessero scritta solo i democristiani?”. Con quelle parole ha voluto dimostrare che noi abbiamo una carta costituzionale di valore perché ognuno ha dovuto rispettare l'altro. Democrazia non significa dittatura del 51%. La vera Democrazia è il rispetto della minoranza.


  1. Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa , Libreria Editrice Fiorentina, pag.24

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